Renzi “nazionalizza” l'Ilva? No. Prepara una soluzione truffa, per cercare di disinnescare una mina sociale esplosiva. Una soluzione brillante per i profitti dei capitalisti , a carico dei lavoratori, della salute, dell'ambiente. La classica nazionalizzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti.
L'operazione è ancora in gestazione, ma appare chiara nel suo indirizzo di fondo. Ed è a incastro:
-Si scarica il fardello di debiti e contenziosi giudiziari dell'Ilva su una bad company, appositamente creata, a favore di una “new company” più appetibile per il mercato ( cioè per gli interessi dei capitalisti acquirenti). Alitalia è la bussola.
-Si potenzia il ruolo giuridico dell'attuale commissario, con la modifica ad hoc della legge Marzano, consentendo una amministrazione straordinaria controllata dell'azienda, e dunque il suo potere di vendita dell'Ilva.
-Si mobilita la Cassa Deposito e Prestiti per acquistare un pacchetto azionario di minoranza di una cordata capitalista interessata a sua volta all'acquisto dell'Ilva ( o la cordata Arcelor Mittal/ Marcegaglia o il gruppo Arvedi), per incentivarla all'acquisto.
-Si realizza infine la vendita dell' Ilva alla cordata capitalistica prescelta, con lo Stato socio di minoranza.
Chi guadagna da questa operazione?
I Riva, tuttora “legittimi” proprietari per il 90% dell'Ilva, che incasserebbero il ricavato della vendita ( si parla di diversi miliardi di soldi pubblici come solo prezzo di indennizzo). I gruppi capitalistici acquirenti che prenderebbero in mano un gruppo “ripulito” di pendenze ingombranti grazie all'aiuto delle risorse pubbliche. Le grandi banche, che avrebbero garanzia di incasso dei propri crediti scaricati sulla collettività. Il governo che strillerebbe ai quattro venti la “soluzione” della questione Ilva come riprova della propria attenzione al lavoro ( con l'occhio rivolto alle prossime elezioni).
Chi paga l'operazione?
I lavoratori, che cambierebbero padroni, senza alcuna garanzia sul proprio futuro, e che per di più dovrebbero accollarsi indirettamente i costi della “nazionalizzazione” ( a vantaggio di un gruppo capitalista criminale) al pari dei lavoratori di tutta Italia. La salute e l'ambiente, perchè nessuno, nella soluzione prospettata, si prenderebbe carico dei costi del risanamento ambientale e della riorganizzazione produttiva: nè i capitalisti acquirenti che anzi mostrano interesse all'acquisto solo se sgravati dai costi del risanamento; nè lo Stato, che piange miseria e impiega i soldi pubblici a vantaggio dei capitalisti, nel mentre taglia spese sociali, servizi pubblici, diritti dei lavoratori. Uno Stato che non riesce neppure a recuperare il miliardo e duecento milioni sequestrati dalla magistratura ai Riva, oggetto di ricorso giudiziario e dispersi nei paradisi fiscali di mezzo mondo.
Altro che “compiacimento” per “i nuovi” indirizzi del governo sull' Ilva, come dichiarano Camusso e Landini!
I fatti dimostrano che per coniugare le ragioni del lavoro, della salute, della vita, c'è una sola soluzione possibile: una nazionalizzazione vera. L'esproprio della proprietà dell'Ilva, senza alcun indennizzo per il gruppo capitalista criminale dei Riva. Il controllo operaio e popolare sull'azienda , sulla riorganizzazione del lavoro, sull'intero piano di risanamento ambientale. Il finanziamento di un piano reale di risanamento, che per la sola città di Taranto richiede non meno di 10 miliardi: risorse che vanno prese dai portafogli dei capitalisti, a partire dal rifiuto del pagamento del debito pubblico verso le banche ( 80 miliardi l'anno!), non certo da stipendi e pensioni di chi lavora e paga mutui e affitti.
L'operazione è ancora in gestazione, ma appare chiara nel suo indirizzo di fondo. Ed è a incastro:
-Si scarica il fardello di debiti e contenziosi giudiziari dell'Ilva su una bad company, appositamente creata, a favore di una “new company” più appetibile per il mercato ( cioè per gli interessi dei capitalisti acquirenti). Alitalia è la bussola.
-Si potenzia il ruolo giuridico dell'attuale commissario, con la modifica ad hoc della legge Marzano, consentendo una amministrazione straordinaria controllata dell'azienda, e dunque il suo potere di vendita dell'Ilva.
-Si mobilita la Cassa Deposito e Prestiti per acquistare un pacchetto azionario di minoranza di una cordata capitalista interessata a sua volta all'acquisto dell'Ilva ( o la cordata Arcelor Mittal/ Marcegaglia o il gruppo Arvedi), per incentivarla all'acquisto.
-Si realizza infine la vendita dell' Ilva alla cordata capitalistica prescelta, con lo Stato socio di minoranza.
Chi guadagna da questa operazione?
I Riva, tuttora “legittimi” proprietari per il 90% dell'Ilva, che incasserebbero il ricavato della vendita ( si parla di diversi miliardi di soldi pubblici come solo prezzo di indennizzo). I gruppi capitalistici acquirenti che prenderebbero in mano un gruppo “ripulito” di pendenze ingombranti grazie all'aiuto delle risorse pubbliche. Le grandi banche, che avrebbero garanzia di incasso dei propri crediti scaricati sulla collettività. Il governo che strillerebbe ai quattro venti la “soluzione” della questione Ilva come riprova della propria attenzione al lavoro ( con l'occhio rivolto alle prossime elezioni).
Chi paga l'operazione?
I lavoratori, che cambierebbero padroni, senza alcuna garanzia sul proprio futuro, e che per di più dovrebbero accollarsi indirettamente i costi della “nazionalizzazione” ( a vantaggio di un gruppo capitalista criminale) al pari dei lavoratori di tutta Italia. La salute e l'ambiente, perchè nessuno, nella soluzione prospettata, si prenderebbe carico dei costi del risanamento ambientale e della riorganizzazione produttiva: nè i capitalisti acquirenti che anzi mostrano interesse all'acquisto solo se sgravati dai costi del risanamento; nè lo Stato, che piange miseria e impiega i soldi pubblici a vantaggio dei capitalisti, nel mentre taglia spese sociali, servizi pubblici, diritti dei lavoratori. Uno Stato che non riesce neppure a recuperare il miliardo e duecento milioni sequestrati dalla magistratura ai Riva, oggetto di ricorso giudiziario e dispersi nei paradisi fiscali di mezzo mondo.
Altro che “compiacimento” per “i nuovi” indirizzi del governo sull' Ilva, come dichiarano Camusso e Landini!
I fatti dimostrano che per coniugare le ragioni del lavoro, della salute, della vita, c'è una sola soluzione possibile: una nazionalizzazione vera. L'esproprio della proprietà dell'Ilva, senza alcun indennizzo per il gruppo capitalista criminale dei Riva. Il controllo operaio e popolare sull'azienda , sulla riorganizzazione del lavoro, sull'intero piano di risanamento ambientale. Il finanziamento di un piano reale di risanamento, che per la sola città di Taranto richiede non meno di 10 miliardi: risorse che vanno prese dai portafogli dei capitalisti, a partire dal rifiuto del pagamento del debito pubblico verso le banche ( 80 miliardi l'anno!), non certo da stipendi e pensioni di chi lavora e paga mutui e affitti.
La rivendicazione di esproprio senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori va estesa in realtà alla intera produzione siderurgica: è l'unica soluzione che può garantire non solo i lavoratori dell'Ilva, ma anche gli operai delle acciaierie di Terni e di Piombino, anch'essi attaccati da padroni criminali senza scrupoli, o “venduti” a nuovi pescecani. Una mobilitazione per la nazionalizzazione vera della siderurgia, sostenuta dalla occupazione delle relative fabbriche, potrebbe unire vertenze operaie oggi disperse e innescare una svolta di lotta dell'intera classe operaia italiana attorno a una rivendicazione unificante: le aziende che licenziano o inquinano, in ogni settore, siano espropriate e poste sotto controllo operaio, a garanzia della salute e del lavoro!
Non è una soluzione “compatibile” con il mercato? E' vero. L'interesse dei capitalisti non è compatibile con le ragioni del lavoro e della salute. Per questo è necessario battersi per un governo dei lavoratori che faccia piazza pulita di questa organizzazione barbarica della società.
Il Partito comunista dei lavoratori ( PCL) si batte tra i lavoratori e tutte le vittime del capitalismo per sviluppare questa consapevolezza. Lo crescita del PCL anche a Taranto e fra i lavoratori dell'Ilva è al servizio di questa prospettiva anticapitalista e rivoluzionaria.