venerdì 5 dicembre 2014

RENZI E L'ILVA: SI PREPARA UNA TRUFFA PER LAVORATORI, SALUTE, AMBIENTE

Renzi “nazionalizza” l'Ilva? No. Prepara una soluzione truffa, per cercare di disinnescare una mina sociale esplosiva. Una soluzione brillante per i profitti dei capitalisti , a carico dei lavoratori, della salute, dell'ambiente. La classica nazionalizzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti.

L'operazione è ancora in gestazione, ma appare chiara nel suo indirizzo di fondo. Ed è a incastro:

-Si scarica il fardello di debiti e contenziosi giudiziari dell'Ilva su una bad company, appositamente creata, a favore di una “new company” più appetibile per il mercato ( cioè per gli interessi dei capitalisti acquirenti). Alitalia è la bussola.
-Si potenzia il ruolo giuridico dell'attuale commissario, con la modifica ad hoc della legge Marzano, consentendo una amministrazione straordinaria controllata dell'azienda, e dunque il suo potere di vendita dell'Ilva.
-Si mobilita la Cassa Deposito e Prestiti per acquistare un pacchetto azionario di minoranza di una cordata capitalista interessata a sua volta all'acquisto dell'Ilva ( o la cordata Arcelor Mittal/ Marcegaglia o il gruppo Arvedi), per incentivarla all'acquisto.
-Si realizza infine la vendita dell' Ilva alla cordata capitalistica prescelta, con lo Stato socio di minoranza.

Chi guadagna da questa operazione?
I Riva, tuttora “legittimi” proprietari per il 90% dell'Ilva, che incasserebbero il ricavato della vendita ( si parla di diversi miliardi di soldi pubblici come solo prezzo di indennizzo). I gruppi capitalistici acquirenti che prenderebbero in mano un gruppo “ripulito” di pendenze ingombranti grazie all'aiuto delle risorse pubbliche. Le grandi banche, che avrebbero garanzia di incasso dei propri crediti scaricati sulla collettività. Il governo che strillerebbe ai quattro venti la “soluzione” della questione Ilva come riprova della propria attenzione al lavoro ( con l'occhio rivolto alle prossime elezioni).

Chi paga l'operazione?
I lavoratori, che cambierebbero padroni, senza alcuna garanzia sul proprio futuro, e che per di più dovrebbero accollarsi indirettamente i costi della “nazionalizzazione” ( a vantaggio di un gruppo capitalista criminale) al pari dei lavoratori di tutta Italia. La salute e l'ambiente, perchè nessuno, nella soluzione prospettata, si prenderebbe carico dei costi del risanamento ambientale e della riorganizzazione produttiva: nè i capitalisti acquirenti che anzi mostrano interesse all'acquisto solo se sgravati dai costi del risanamento; nè lo Stato, che piange miseria e impiega i soldi pubblici a vantaggio dei capitalisti, nel mentre taglia spese sociali, servizi pubblici, diritti dei lavoratori. Uno Stato che non riesce neppure a recuperare il miliardo e duecento milioni sequestrati dalla magistratura ai Riva, oggetto di ricorso giudiziario e dispersi nei paradisi fiscali di mezzo mondo.

Altro che “compiacimento” per “i nuovi” indirizzi del governo sull' Ilva, come dichiarano Camusso e Landini!

I fatti dimostrano che per coniugare le ragioni del lavoro, della salute, della vita, c'è una sola soluzione possibile: una nazionalizzazione vera. L'esproprio della proprietà dell'Ilva, senza alcun indennizzo per il gruppo capitalista criminale dei Riva. Il controllo operaio e popolare sull'azienda , sulla riorganizzazione del lavoro, sull'intero piano di risanamento ambientale. Il finanziamento di un piano reale di risanamento, che per la sola città di Taranto richiede non meno di 10 miliardi: risorse che vanno prese dai portafogli dei capitalisti, a partire dal rifiuto del pagamento del debito pubblico verso le banche ( 80 miliardi l'anno!), non certo da stipendi e pensioni di chi lavora e paga mutui e affitti. 
Ilva

La rivendicazione di esproprio senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori va estesa in realtà alla intera produzione siderurgica: è l'unica soluzione che può garantire non solo i lavoratori dell'Ilva, ma anche gli operai delle acciaierie di Terni e di Piombino, anch'essi attaccati da padroni criminali senza scrupoli, o “venduti” a nuovi pescecani. Una mobilitazione per la nazionalizzazione vera della siderurgia, sostenuta dalla occupazione delle relative fabbriche, potrebbe unire vertenze operaie oggi disperse e innescare una svolta di lotta dell'intera classe operaia italiana attorno a una rivendicazione unificante: le aziende che licenziano o inquinano, in ogni settore, siano espropriate e poste sotto controllo operaio, a garanzia della salute e del lavoro!

Non è una soluzione “compatibile” con il mercato? E' vero. L'interesse dei capitalisti non è compatibile con le ragioni del lavoro e della salute. Per questo è necessario battersi per un governo dei lavoratori che faccia piazza pulita di questa organizzazione barbarica della società.

Il Partito comunista dei lavoratori ( PCL) si batte tra i lavoratori e tutte le vittime del capitalismo per sviluppare questa consapevolezza. Lo crescita del PCL anche a Taranto e fra i lavoratori dell'Ilva è al servizio di questa prospettiva anticapitalista e rivoluzionaria.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

martedì 2 dicembre 2014

CAPITALISMO DE-GENERE


violenza de genereIn merito alla terribile e attualissima questione della violenza di genere, ci preme intervenire nel dibattito proponendo una riflessione che parta da presupposti materialisti, storici e comunisti. 

Il nostro manifestare e mobilitarci contro la violenza sulle donne parte da un punto di vista classista, poiché riteniamo che il genere e la classe non siano categorie necessariamente escludenti. E' ben chiaro che la violenza di genere si esprime in modo generalizzato e univoco dagli uomini verso le donne, ma l'origine di questa vessazione non si risolve ricercando una natura psicologica (e meno che mai “patologica”) di un presunto comportamento maschile astratto e non storicizzato. Tale violenza permea tanto i quasi impercettibili aspetti della nostra esistenza quotidiana, manifestandosi come disparità nei rapporti familiari o discriminazione nel mondo del lavoro e nella sfera della salute (il banalissimo esempio della libera costruzione della propria sessualità, dell'accesso agli anticoncezionali o all'aborto sono solo la punta dell'iceberg), fino ad arrivare a espressioni più estreme e crude come lo stupro, la violenza domestica e l'omicidio. 

La storia dei rapporti tra i generi si intreccia in modo indissolubile con lo sviluppo della divisione sociale del lavoro e dunque con la costruzione delle sovrastrutture sociali che la nostra storia come umanità ha conosciuto. Per questo la violenza di genere è una costante attraverso diverse epoche, perché la storia umana è la storia di società divise in classi in cui una parte della società ne opprime un'altra e non in virtù di categorie non storiche che si pretenderebbero insite in astratte "nature" maschili o femminili. Il patriarcato è un abito che molteplici forme di organizzazione sociale hanno indossato con comodità e piacere (ma non per questo è universale), compresa la società attuale del capitalismo, proprio perché nato in legame con la divisione in classi della nostra società. Una riflessione sulla violenza di genere dunque non può prescindere da una analisi storica e critica della famiglia e di tutte le strutture sociali in generale (Chiesa e altre istituzioni religiose, Stato, ma anche la scuola, partiti ecc.). 
Nella nostra prospettiva il principio della violenza, tanto di genere quanto di classe, risiede nella proprietà privata ed è principalmente da essa che scaturisce. In questo senso, se la donna è proprietà dell'uomo, se è dunque un suo "oggetto", egli cercherà di disporne come vuole, con tutte le conseguenze che ci sono ben evidenti oggi. La violenza di genere non si risolve dunque "mettendoci la faccia" o chiedendo agli uomini di essere genericamente "migliori" ma includendo l'analisi femminista ad una prospettiva comunista di trasformazione strutturale e radicale della società. La società capitalista è una società di violenza istituzionalizzata in cui una minoranza esigua della popolazione espropria la maggioranza giorno dopo giorno costruendo su questo abuso la propria ideologia e morale. Questo tipo di società non è in grado di riformarsi in nessuno dei suoi aspetti, perché è costruita sulle fondamenta essenziali del profitto e della proprietà privata. E' di conseguenza del tutto inconciliabile con la liberazione dall'oppressione di genere, perché le sue radici affondano in quella divisione sociale del lavoro che ha origine anche nella nascita storica della famiglia e nella divisione di genere dei compiti sociali. 

Solo la conciliazione di una prospettiva femminista di liberazione della donna e delle minoranze di genere oppresse con la prospettiva generale della sollevazione degli sfruttati, degli espropriati, del mondo del lavoro contro la classe padronale può creare i presupposti reali della costruzione di una società senza divisione di classi, senza oppressioni, diseguaglianze e discriminazioni, e nell'alveo di questo processo storico, costruire nuovi rapporti sociali, che sono innanzitutto nuovi rapporti umani.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI SEZ. PISA