mercoledì 30 novembre 2011

SI PREPARI LO SCIOPERO GENERALE

Le misure in preparazione da parte del governo Monti rappresentano una vera enormità contro i lavoratori e i pensionati. Chi per trentanni ha fatto sacrifici a vantaggio di industriali e banchieri (bancarottieri) viene chiamato da questi a nuovi e più pesanti sacrifici per pagare gli interessi alle banche. Il ridicolo ritocco a vitalizi (immutati) è solo un inganno penoso per mascherare e giustificare questa macelleria. La verità è che grazie al sostegno di Bersani- Berlusconi - Di Pietro, il governo Monti si candida a fare contro lavoro e pensioni ciò che neppure Berlusconi era riuscito a fare. La CGIL non può limitarsi a “criticare” le misure. Deve assumersi la responsabilità di preparare lo sciopero generale. Senza questa scelta la “critica” si trasformerebbe in complicità. Non si può regalare a Monti ciò che si è negato a Berlusconi.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

lunedì 14 novembre 2011

NO AL GOVERNO MONTI-NAPOLITANO, GOVERNO DELLA CONFINDUSTRIA E DELLE BANCHE

Dichiarazione pubblica di Marco Ferrando

Nasce il governo della Confindustria e delle banche, sotto il commissariamento della BCE e la garanzia della Presidenza della Repubblica
Mai nella storia italiana del dopoguerra un esecutivo è stato espressione così diretta del capitale finanziario.
Mai la Presidenza della Repubblica ha svolto un ruolo tanto determinante e diretto nella sua genesi, sino a travalicare forme, tempi, procedure, del tradizionale parlamentarismo borghese.

Il combinarsi della crisi del berlusconismo e della crisi finanziaria, italiana ed europea- in assenza di una soluzione parlamentare alternativa immediatamente spendibile- ha prodotto questo esito straordinario.

MARIO MONTI FIDUCIARIO DEL CAPITALE FINANZIARIO

Tutti i partiti dominanti hanno compiuto un passo indietro, per lasciare il passo al fiduciario delle banche e degli industriali. L'assetto bipolare tradizionale , già in crisi, ha subito un duro colpo dagli avvenimenti, con il distacco tra PDL e Lega da un lato e l'incrinatura interna al centrosinistra dall'altro.
Berlusconi si è rassegnato alla ritirata sotto i colpi della crisi delle Borse ( e delle sue stesse aziende) e lo sfarinamento della maggioranza parlamentare alla Camera. Bersani ha scelto di sacrificare una vittoria elettorale scontata del centrosinistra e la sua stessa leaderschip di governo, sotto la pressione dell'emergenza finanziaria e dell'interesse generale di sistema. Affermando che “viene prima il Paese e poi il Partito” il gruppo dirigente del PD ha consacrato con parole auliche la propria vocazione sacrificale di fronte all'interesse superiore del capitale.

UN PROGRAMMA ANNUNCIATO DI MISURE ANTIPOPOLARI
Il programma che si annuncia è la continuità dichiarata della politica d'emergenza varata dal governo Berlusconi, col lasciapassare delle “opposizioni” parlamentari: il rispetto del programma Europlus e dei relativi “impegni” solennemente assunti in sede U.E.. Non è davvero in discussione il programma di fondo del governo italiano, mai come oggi così predefinito. Era semmai in discussione la credibilità della sua esecuzione, il superamento delle sue “lacune”, la rapidità dei suoi tempi. Tutto il mondo capitalista, a partire dal governo tedesco, francese e americano, si è riunito a mani giunte attorno al capezzale del capitalismo italiano, per chiedere un' ulteriore terapia d'emergenza sul malato. Il nome di Monti e l'unità nazionale a suo sostegno sono la rassicurazione data non solo alla borghesia italiana ma al capitalismo internazionale.
Proprio per questo va rimossa ogni eventuale illusione. Il governo proverà a edulcorare la confezione d'immagine del suo programma con qualche innocua trovata “anticasta” a fini mediatici, e una probabile minipatrimoniale richiesta persino da Confindustria e banche in funzione antidebito. Ma dentro la confezione curata starà l'attacco alle pensioni d'anzianità, il salto generale di dismissione e privatizzazione di beni pubblici, il sostegno più marcato alla demolizione progressiva del contratto nazionale di lavoro, le nuove normative sui licenziamenti. Tutto ciò che chiede l'Europa capitalista per rassicurare i banchieri. Questa è e resta la ragione sociale del governo: fare contro i lavoratori ciò che Berlusconi non era più in grado di fare e ciò che il centrosinistra non era ancora pronto a fare. L'unità nazionale è semplicemente la soluzione di mutuo soccorso tra i partiti borghesi per garantirsi la reciproca complicità nell'attacco congiunto alla maggioranza della società. L'”unione sacra” è sempre storicamente una soluzione di guerra. In questo caso di guerra al lavoro.

LA CAPITOLAZIONE DI DI PIETRO E VENDOLA.
Tanto più in questo quadro colpisce la capitolazione al governo Monti di Di Pietro e di Vendola. Il populismo comiziesco, in tutte le sue varianti, si è sciolto come neve al sole di fronte all'emergenza del capitale finanziario, sotto la pressione intimidatoria del PD e di Napolitano. Il populismo giustizialista di Di Pietro è passato in due giorni dalla denuncia della “macelleria sociale” in arrivo alla “fiduciosa attesa” del nuovo governo. Il populismo poetico di Vendola ha surfato come sempre nelle pieghe del vocabolario, per concludere che Monti è degno di un sostegno, seppur “condizionato”. Entrambi hanno scelto di ingannare i lavoratori e i propri elettori accodandosi ai banchieri, e coprendo le spalle al PD: pur di coltivare le proprie ambizioni di governo futuro a braccetto con quel partito.

Dove è assente ogni confine di classe, si dissolve prima o poi ogni confine di opposizione.

VIA IL GOVERNO DEGLI INDUSTRIALI E DEI BANCHIERI
Di fronte alla generale capitolazione al governo di Confindustria e delle banche è necessario il rilancio di una coerente opposizione di classe. All'unità nazionale di tutti i principali partiti borghesi attorno al programma degli industriali e dei banchieri, va contrapposto il fronte unico di tutte le sinistre attorno alle ragioni del lavoro. Alla guerra come alla guerra. Il Partito Comunista dei Lavoratori fa appello a tutte le sinistre di opposizione al governo Monti per la più vasta campagna di mobilitazione contro il governo: nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole e università, nei quartieri. Preparando una prima manifestazione nazionale contro il governo da tenersi a Roma. La cacciata del governo dei capitalisti, per un'alternativa di società, deve diventare un obiettivo centrale del movimento operaio e popolare.

MARCO FERRANDO

CINQUE MISURE STRAORDINARIE CONTRO LA CATASTROFE. SOLO UN GOVERNO DEI LAVORATORI PUO' REALIZZARLE.

Documento nazionale PCLavoratori

(10 Novembre 2011)

IMPORTANTE PROPOSTA DI PERCORSO

La crisi del capitalismo italiano é al centro della tempesta economica europea e mondiale.
Le banche italiane sono colpite dalla crisi di credibilità dei titoli di stato tricolori in cui hanno investito a mani basse. L'azione di strozzinaggio degli interessi sul debito si è rivoltata contro gli strozzini.

La U.E. si trova di fronte al dissesto finanziario dell'Italia, senza disporre di risorse adeguate per un eventuale “soccorso”. Mentre la gigantesca ricapitalizzazione delle banche continentali si trasforma inevitabilmente in un nuovo appesantimento dei debiti pubblici.

L'unico punto fermo del caos finanziario europeo e mondiale è il programma comune dei governi di ogni colore: salvare i banchieri e i capitalisti facendo pagare la loro crisi ai lavoratori.

Questo attacco si aggrava in particolare in Italia, anello debole della catena capitalistica internazionale, sotto la frusta della BCE. Il precipitare della crisi finanziaria- sullo sfondo della crisi politica di Berlusconi- determina un nuovo salto drammatico dell'attacco alle condizioni sociali delle masse. Il progetto Europlus prescrive, di per sé, la riduzione ogni anno di 45 miliardi di debito pubblico italiano, al netto del pagamento degli interessi: ciò che segnerebbe una autentica regressione storica della già miserabile condizione di milioni di lavoratori, giovani, pensionati. E oggi i “commissari” europei chiedono una stretta ulteriore della morsa per conto delle banche.

La rivolta sociale contro tutto questo è la condizione necessaria per salvarsi. Ma la rivolta deve impugnare un programma d'azione alternativo contro la crisi che recida finalmente la sua radice: la dittatura del capitale finanziario sulla vita della società.


CINQUE MISURE RADICALI PER AFFRONTARE LA “CATASTROFE"

"C'è bisogno di un programma d'emergenza contro la crisi” strillano all'unisono tutti i giornali borghesi e i banchieri che li finanziano, mentre invocano la spoliazione dei salariati. “ C'è bisogno di un programma d'emergenza contro la crisi”, diciamo noi: ma un programma che colpisca il potere delle banche e dei capitalisti, liberando milioni di lavoratori dal loro giogo. Un programma tanto radicale quanto è radicale il programma della BCE.

1) Si rifiuti il pagamento del debito pubblico alle banche strozzine. Il debito non è stato prodotto dai lavoratori, ma dalla rapina delle banche contro i lavoratori. Non si vede perchè debbano essere i lavoratori a pagarlo. Per di più.. ai banchieri. I 90 miliardi di interessi che lo Stato paga ogni anno alle banche- grandi acquirenti dei titoli di Stato- vanno semplicemente cancellati. E cosi' i 70 miliardi versati annualmente dagli enti locali. I piccoli risparmiatori saranno integralmente tutelati. Non i banchieri usurai. La loro rapina deve finire. E le risorse così liberate debbono andare al lavoro, alla sanità, alla scuola..

2) Le banche e le assicurazioni vanno nazionalizzate, senza indennizzo per i grandi azionisti, e sotto controllo dei lavoratori, creando un'unica banca pubblica. Non è solo una misura imposta dall'annullamento del debito pubblico verso le banche. E' una misura indispensabile per abbattere i mutui che gravano sulle famiglie. Per portare alla luce la scandalosa evasione fiscale del grande capitale, di cui le banche sono canale e strumento. Per colpire i santuari della grande criminalità. Per acquisire la leva decisiva per una riorganizzazione radicale dell'economia e della società in funzione dei bisogni collettivi, e non del profitto di pochi. Senza la nazionalizzazione delle banche, vero verminaio della società borghese, ogni rivendicazione dell'“alternativa” si riduce ad una frase vuota.

3) Va istituito il controllo operaio sulla produzione a partire dall'abolizione del segreto commerciale e dall'apertura dei libri contabili delle aziende. Il segreto commerciale tanto difeso dai custodi della proprietà non vale più da molto tempo nel rapporto tra i grandi capitalisti, che hanno ben pochi segreti tra loro. Vale invece come paravento dei capitalisti nei confronti dei lavoratori e della società, cui debbono nascondere frodi, truffe, raggiri di ogni tipo. Inclusi i costi della pubblica corruzione. Non basta che i conti siano accessibili di tanto in tanto a qualche compiacente istituto borghese di “vigilanza” o alla Agenzia delle Entrate. E' necessario che siano i lavoratori e le loro organizzazioni a mettere il naso nei “segreti” delle proprie aziende. Per quale ragione dev'essere considerato “naturale” che i capitalisti e i loro governi facciano i raggi x agli stipendi, ai risparmi, alla vita dei lavoratori, e invece uno “scandalo” se i lavoratori vogliono controllare i capitalisti , i loro conti, le loro ruberie?

4) Vanno nazionalizzati i grandi gruppi capitalistici dell'industria, senza indennizzo e sotto controllo operaio, a partire dalle aziende che licenziano o colpiscono i diritti sindacali. Quindi a partire dalla Fiat. E' una misura indotta dalla nazionalizzazione delle banche, dato lo stretto intreccio fra capitale industriale e capitale bancario. Ma è soprattutto un provvedimento indispensabile per bloccare i licenziamenti, riorganizzare la produzione, ripartire il lavoro fra tutti, avviare una riconversione dell'economia a fini ecologici e sociali, secondo un piano democraticamente definito. E sarebbe oltretutto un provvedimento di risparmio straordinario per l'intera società: perchè annullerebbe la montagna di 40 miliardi annui di trasferimenti pubblici a quelle stesse imprese private che distruggono posti di lavoro. E che dunque sono già state “comprate” dai lavoratori, in quanto principali contribuenti. A proposito di “lotta agli sprechi”.

5) Va varato un grande piano di opere sociali di pubblica utilità che dia lavoro e risani le condizione di larga parte della società italiana. E' assurdo registrare da un lato la disoccupazione del 30% dei giovani e il licenziamento dei lavoratori, e dall'altro la straordinaria penuria (e distruzione) di beni e servizi sociali. Il lavoro che c'è va ripartito fra tutti in modo che nessuno ne sia privato, con la riduzione generale dell'orario a parità di paga. Ma non basta. E' necessario un grande piano di nuovo lavoro. La nazionalizzazione delle banche e della grande industria, la fine della dipendenza dal debito, possono liberare un piano di investimenti pubblici, sotto controllo sociale, in fatto di risanamento ambientale, energie alternative, riparazione della rete idrica, sviluppo della rete ferroviaria, messa in sicurezza dell'edilizia scolastica e residenziale, estensione della rete ospedaliera e di assistenza agli anziani..: investimenti capaci di utilizzare a pieno le capacità lavorative e le professionalità di milioni di disoccupati, di dare lavoro ai migranti,di cambiare volto all'ambiente di vita. Impedendo oltretutto crimini sociali come quelli compiuti nei nubifragi di Genova e Liguria.


SOLO UN GOVERNO DEI LAVORATORI PUO' REALIZZARLE.
Nessuna di queste misure è derogabile, ai fini di una vera svolta. Senza queste misure non solo non vi è alcuna possibile via d'uscita dalla crisi, ma la crisi continuerà ad abbattersi con intensità sempre maggiore sulle condizioni dei lavoratori e del popolo. Al tempo stesso nessuna di queste misure è compatibile col capitalismo. Nessuna di queste misure è realizzabile da parte dei governi borghesi, tutti legati a doppio filo agli interessi dell'industria e delle banche. Solo un governo dei lavoratori, basato sulla loro organizzazione e la loro forza, può realizzarle. E solo una sollevazione operaia e popolare può imporre un governo dei lavoratori.

La crisi politica del berlusconismo, dentro il precipitare della crisi capitalista, è un occasione preziosa per il movimento operaio: ma alla sola condizione di imporre la propria agenda per la soluzione della crisi politica e sociale. Senza questa azione indipendente, senza un autonomo programma, tutto è destinato a risolversi contro i lavoratori. Come prima e peggio di prima. O per mano di un governo Monti, o per mano di un resuscitato centrosinistra. Prima delle elezioni, o dopo le elezioni.

Il momento di agire è ora. Il PCL fa appello a tutte le sinistre politiche, sindacali, di movimento, a tutte le organizzazioni popolari e di massa, per un fronte unico d'azione attorno a questo programma di svolta. E' ora di porre fine una volta per tutte a compromissioni senza futuro col PD ,coi partiti borghesi, con la Confindustria. E' l'ora di assumersi una responsabilità indipendente. All'altezza della straordinarietà del momento.


PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

mercoledì 9 novembre 2011

CONTRO OGNI SOLUZIONE BORGHESE DELLA CRISI POLITICA PER UNA MOBILITAZIONE INDIPENDENTE DEL MOVIMENTO OPERAIO CONTRO LA NUOVA ANNUNCIATA MACELLERIA PER IMPORRE UNA SOLUZIONE ANTICAPITALISTA DELLA CRISI SOCIALE

Un Presidente del Consiglio ormai privo di maggioranza parlamentare ottiene dal Presidente della Repubblica il permesso non solo di andare avanti, ma di gestire la nuova macelleria sociale commissionata dai banchieri europei. Mentre le “opposizioni” parlamentari non solo assicurano preventivamente il loro lasciapassare alla “legge di stabilità” e al suo ulteriore appesantimento, ma si candidano a continuare l'opera in nuovo governo di “unità nazionale” quale supremo garante delle banche, della Commissione Europea, del FMI.

La verità è che si cerca di ridurre la fine annunciata di Berlusconi ad un passaggio di testimone tra ceti dirigenti e comitati d'affari dei poteri forti. In un clima di trasformismo maleodorante, compravendite parlamentari, compromissioni istituzionali. In cui persino le regole borghesi del parlamentarismo vengono sacrificate all'urgenza dei “mercati” e della crisi, pur di continuare a colpire il lavoro, le pensioni, i servizi sociali. Calpestando la stessa volontà del referendum di Giugno.

Non sappiamo se l'operazione in corso, sotto la regia di Napolitano, avrà successo, o se sfocerà in elezioni anticipate. Ma certo è un'operazione contro i lavoratori, i giovani, i movimenti di lotta di questi anni. Chi si è mobilitato per cacciare Berlusconi, non l'ha fatto nel nome di Draghi, di Monti, della BCE. Quella stessa parte di popolo di sinistra accorso ad applaudire Bersani il 5 Novembre non lo ha fatto per ritrovarsi in un governo d'emergenza con il PDL o suoi settori, né per inchinarsi ai banchieri. Quale che sia lo sbocco della crisi politica, si conferma una volta di più la natura liberale del PD quale carta di ricambio della borghesia contro il movimento operaio e contro tutte le ragioni sociali dell'opposizione.

Tanto più oggi, le sinistre politiche e sindacali non possono stare a guardare. Né limitarsi a chiedere elezioni per cercare di essere imbarcate dal PD in un nuovo vecchio centrosinistra ( confindustriale), come fanno in forme diverse i gruppi dirigenti di SEL e FDS. O per essere recuperate stabilmente al tavolo di concertazione con Confindustria, come fanno i vertici della CGIL. E' ora di finirla con vecchie compromissioni senza futuro. E' l'ora di una mobilitazione unitaria e radicale contro ogni soluzione borghese della crisi politica, per affermare un punto di vista indipendente del movimento operaio, per fermare la nuova macelleria in gestazione, per trasformare la crisi del berlusconismo nella cacciata delle classi dirigenti bancarottiere della seconda Repubblica, e di tutti i loro partiti. Solo un governo dei lavoratori può liberare l'Italia dalla dittatura del capitalismo e aprire davvero una pagina nuova per la giovane generazione.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

mercoledì 2 novembre 2011

FARE CARTA STRACCIA DELLA LETTERA A BRUXELLES CONTRAPPORRE AL PROGRAMMA DELLA BCE UN PROGRAMMA ANTICAPITALISTA OPERAIO E POPOLARE

LICENZIARE BERLUSCONI E TUTTI I CORTIGIANI DI BANCHE E IMPRESE
REALIZZARE UN GOVERNO DEI LAVORATORI PER LIBERARCI DALLA DITTATURA DI INDUSTRIALI E BANCHIERI

DICHIARAZIONE DI MARCO FERRANDO

Il progetto annunciato dal governo italiano a Bruxelles, basato sulla liberalizzazione dei licenziamenti- nel settore privato e pubblico- è una provocazione odiosa. Lo sarebbe in ogni caso, tanto più in un quadro di drammatica crisi sociale. Lo è a maggior ragione da parte di un governo reazionario in profonda crisi, frequentato da faccendieri, evasori, ministri in odore di mafia, che cerca la sopravvivenza nel plauso dei banchieri europei.

Contro questo disegno non sono sufficienti le parole o iniziative platoniche e dimostrative di “protesta” o “dissenso”. E' necessario dispiegare una mobilitazione di massa straordinaria e continuativa capace di bloccare davvero l'Italia sino al ritiro delle misure annunciate. Se non ora quando?

Nel 2002 contro l'attacco all'articolo 18 si levò un vasto movimento di massa- poi piegato alle compatibilità del centrosinistra in gestazione- che riuscì ad arrestare l'attacco berlusconiano. Oggi si tratta di rilanciare quel movimento, ma liberandolo da ogni subordinazione al “nuovo” centrosinistra, per farne il risolutore della crisi nel nome di una vera alternativa. Che liberi definitivamente l'Italia dai suoi attuali padroni: industriali, banchieri, Vaticano, e tutti i loro partiti.

A questo fine, tutte le sinistre politiche, sindacali, associative, di movimento possono e debbono unire le proprie forze in una azione di massa liberatoria, che faccia carta straccia della “lettera” a Bruxelles e imponga finalmente un cambio dell'agenda. Al programma di emergenza della BCE va contrapposto un programma d'emergenza operaio e popolare: che rivendichi il blocco dei licenziamenti, la nazionalizzazione senza indennizzo di tutte le aziende che licenziano, il ripudio del debito pubblico verso le banche, la loro nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori.

Solo questo programma anticapitalista può recidere le radici della crisi. Solo una mobilitazione straordinaria e radicale può imporlo. Solo un governo dei lavoratori può realizzarlo.

E' lo scenario della crisi europea a dettare una risposta radicale. In tutta Europa si annuncia un'ulteriore drammatica stretta sociale al solo scopo di salvare le banche francesi e tedesche, ricapitalizzare le banche di tutto il continente, ampliare il fondo europeo salvabanche. Le banche sono l'alfa e l'omega dell'Europa dei padroni, sotto i governi di ogni colore. E' la riprova che il capitalismo può sopravvivere solo continuando a depredare i lavoratori e i giovani a vantaggio di capitalisti e banchieri. Solo scaricando la crisi sulle sue vittime a vantaggio dei suoi responsabili. Solo condannando alla rovina presente e futuro delle nuove generazioni.

Per questo, l'alternativa o è anticapitalista o non è. Solamente la rivoluzione sociale può sgomberare il campo da quella parabola di decadenza che il capitalismo impone all' intera società. Elevare la coscienza delle masse alla comprensione di questa necessità è e deve essere il lavoro quotidiano, controcorrente, di tutti i militanti coscienti del movimento operaio e dei movimenti di lotta.

“Trasformare l'indignazione in rivoluzione” socialista è la parola d'ordine del Partito Comunista dei Lavoratori.

MARCO FERRANDO- PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

martedì 18 ottobre 2011

Dichiarazione del Partito Comunista dei Lavoratori in merito al comunicato approvato dalla maggioranza delle organizzazioni del Forum Sociale Italiano sulla manifestazione del 15 ottobre.

Il Partito Comunista dei Lavoratori ha partecipato alla riunione del Forum Sociale Italiano svoltasi a Roma il 16 ottobre. In tale riunione le organizzazioni presenti, tutte promotrici della manifestazione del 15 ottobre e componenti del Comitato creato “ad hoc” insieme ad altre organizzazioni non facenti parte del Forum Sociale, hanno affrontato la discussione sulla valutazione degli avvenimenti occorsi nel quadro della manifestazione stessa.
A conclusione di tale discussione la maggioranza delle organizzazioni presenti ha deciso di stendere un breve testo di bilancio e di proporlo alle principali strutture aderenti al Comitato per il 15 ottobre non presenti alla riunione.
Il Partito Comunista dei Lavoratori ha espresso il proprio dissenso dal testo proposto.
Anche a prescindere da elementi di metodo (una ipotesi di dichiarazione sul 15 ottobre da parte del Comitato avrebbe comportato la convocazione di una sua riunione per permettere a tutti di esprimere ed argomentare le proprie posizioni) il PCL ha divergenze di merito.
In realtà la risposta di buona parte delle strutture contattate è stata, a partire in particolare dalle questioni di metodo suindicate - ma non solo - negativa. Ciò ha portato i proponenti del testo a retrocedere all’ipotesi di firmarlo solo come Forum Sociale.

Come PCL manteniamo ovviamente le divergenze di merito e le indichiamo qui sotto.
L’analisi sociale del movimento ne dà una versione semplificata e retorica: come al solito il movimento mondiale è “nuovo” e gli elementi di continuità e di collegamento con la lotta di classe e fenomeni di insorgenza rivoluzionaria come, pur con tutte le loro contraddizioni, i processi rivoluzionari nel mondo arabo, sono obnubilati.

Il PCL critica quelle forze, non proprio insignificanti, che hanno portato avanti nel corso del corteo azioni violente talvolta isolate, politicamente inutili e controproducenti. Tale condanna è tanto più netta nella misura in cui è apparso evidente che, almeno per i settori più politicamente coscienti di tali forze, uno degli scopi della loro azione era quello di far saltare la manifestazione come prevista, per opporsi con una manovra, invece che con il confronto politico o la diversa pratica di azione, ad alcuni tra i principali promotori; da questo la scelta di dirigersi nella loro azione verso Piazza San Giovanni e non verso i centri del potere politico ed economico.

Ricordiamo tuttavia, pur in questo quadro di verità, che settori di coloro che vengono definiti “black block” sono una delle tante componenti del movimento di massa di questi anni: sono stati in azione non solo il 15, ma in molte altre occasioni recenti, in Italia, in Valsusa, in quasi tutti i paesi europei, in primis la Grecia (con azioni a volte anche gravemente negative). L’importanza di tali azioni nel quadro complessivo di manifestazioni e lotte è stata in generale inversamente proporzionale alla chiarezza e radicalità dell’azione della massa dei manifestanti e delle loro organizzazioni.

Chi ha veramente “ violentato la manifestazione e impedito il diritto di parola” come afferma il comunicato non sono stati i “black block”, ma le forze repressive dello stato, che in piazza San Giovanni hanno attuato un criminale assalto con caroselli di blindati a forte velocità. La massa del primo pezzo del corteo ha reagito con forza a tale azione criminale. Il PCL è pienamente solidale con la resistenza della piazza, cui non ha potuto partecipare direttamente per il solo fatto che la sua collocazione concordata poneva il suo spezzone (e quello del Fronte Unico del 1° Ottobre) in fondo al gigantesco corteo, lontano da Piazza San Giovanni.

Infine e soprattutto, noi riteniamo che vi sia una responsabilità oggettiva negli avvenimenti in relazione alle scelte rinunciatarie della quasi totalità degli organizzatori della manifestazione.
Noi avevamo proposto nelle riunioni preparatorie che il corteo rivendicasse apertamente il diritto di sfilare sotto i palazzi del potere politico ed economico, rivendicandone la cacciata, cosa che avviene nella maggioranza dei paesi del mondo (la manifestazione svoltasi pacificamente ad Atene ha potuto passare di fronte al parlamento greco, e ciò nonostante precedenti ripetutiti scontri in quel luogo, compreso, alcuni mesi fa, un tentativo di occupazione di massa). E di fronte a un rifiuto di tale diritto democratico, tentare di superarlo con un azione di massa, come si è fatto, però in maniera spontanea e confusa, il 14 dicembre da parte dei giovani e degli studenti (con la partecipazione dei compagni del PCL presenti); addossando con ciò la responsabilità di quanto poteva accadere al governo. Sarebbe stata una giornata difficile, ma avrebbe marginalizzato eventuali azioni di violenza stupida (contro auto, vetrine, etc) e le avrebbe anche rese più difficili.

Ci permettiamo di aggiungere che noi avevamo compreso le conseguenze del rifiuto opposto alla nostra proposta. Scrivevamo infatti, in una dichiarazione pubblica 20 giorni prima del 15, il 25 settembre queste parole: ”.. Proprio il rifiuto pregiudiziale a rivendicare il diritto a marciare verso i palazzi del potere, a preparare organizzativamente e unitariamente la gestione di piazza di questa rivendicazione, rischia questo sì di spianare la strada a iniziative minoritarie .., slegate da una logica di massa, a tutto danno dell'impatto politico del 15 Ottobre” (PCL ,25/9). Non tenere conto di quanto dicevamo ha favorito il caos.

Infine aggiungiamo, di fronte alle notizie di azioni repressive dello stato contro settori anarchici e dell’autonomia, quali che siano le differenze generali e specifiche che abbiamo con questi settori, noi ci pronunciamo in solidarietà con essi contro lo stato borghese, quello della precarietà, dei licenziamenti, delle guerre. Se il ribellismo spontaneista prepolitico e antimarxista è un avversario politico nella sinistra, il nostro nemico è il capitalismo e il suo stato. Tra i due non siamo indifferenti


Partito Comunista dei Lavoratori

lunedì 17 ottobre 2011

SULLA MANIFESTAZIONE DEL 15 OTTOBRE: UN'IMPOSTAZIONE POLITICA RINUNCIATARIA APRE IL VARCO A PRATICHE IMPOLITICHE E NICHILISTE

La manifestazione nazionale del 15 Ottobre a Roma ha visto una grande partecipazione di massa, una vasta presenza di giovani, un diffuso senso comune “anticapitalista”. Ma la sua dinamica è stata distorta da un impostazione politica sbagliata del coordinamento che ha promosso ed organizzato il corteo: un'impostazione che rinunciando ad indirizzare il movimento sul terreno del confronto politico col potere, ha finito con l'amplificare lo spazio di pratiche, impolitiche e nichiliste, avulse da una logica di massa.

LA RESPONSABILITA' DI UN'IMPOSTAZIONE POLITICA RINUNCIATARIA

Quando proponevamo una manifestazione indirizzata verso i palazzi del potere, rivendicavamo non solo il diritto a una pratica diffusa a livello internazionale, ed in particolare europeo; non solo un'iniziativa politica corrispondente alla particolare gravità della situazione italiana, alla natura particolarmente reazionaria del suo governo, alle responsabilità bipartisan nel sostegno alle banche da parte delle “opposizioni” parlamentari; ma anche perciò stesso un'iniziativa di massa capace di segnare politicamente il terreno centrale dello scontro, di unificare e tradurre su quel terreno la domanda diffusa di un corteo “radicale” e non convenzionale, di emarginare per questa via iniziative “fai da te” del tutto estranee allo sviluppo reale del movimento.
Avevamo avvisato i naviganti: ”.. Proprio il rifiuto pregiudiziale a rivendicare il diritto a marciare verso i palazzi del potere, a preparare organizzativamente e unitariamente la gestione di piazza di questa rivendicazione, rischia questo sì di spianare la strada a iniziative minoritarie .., slegate da una logica di massa, a tutto danno dell'impatto politico del 15 Ottobre” (PCL, 25/9/2011)
Purtroppo, siamo stati facili profeti. La scelta maggioritaria di una manifestazione rituale, nel nome del “realismo” e della scelta “pacifica”, ha ignorato la realtà e non ha garantito “la pace”. Ha semplicemente lasciato campo libero a chi ha cercato come terreno di scontro non la contrapposizione politica al potere, non lo sviluppo della radicalità del movimento e della sua coscienza politica, ma l'esercizio pratiche isolate e nichiliste, a danno del movimento di massa.

CONTRO LO STATO E LA SUA REPRESSIONE

Sia chiaro: la nostra critica del vandalismo muove non dalla logica delle questure, ma dall'interesse della rivoluzione. L'avversario fondamentale dei lavoratori, dei giovani, delle loro lotte, non sono i cosiddetti black block, ma il capitalismo e il suo stato.
Non siamo pacifisti, e in ogni caso manteniamo la misura della realtà. La violenza consumata contro auto in sosta o contro le vetrine di negozi - per quanto del tutto inutile e demenziale- resta infinitamente minore della violenza consumata quotidianamente nello sfruttamento di milioni di uomini e di donne, nella segregazione dei migranti, o nelle missioni di guerra. Per questo non parteciperemo mai ai cori sdegnati “contro la violenza” di un ministro degli interni secessionista e xenofobo, o di un centrosinistra amico dei banchieri strozzini, o di un Nichi Vendola che sino a ieri “votava” i bombardamenti in Afghanistan. Noi stiamo dall'altra parte della barricata. In uno scontro tra apparato dello stato e migliaia di giovani di diversa estrazione (ben altro che i cosiddetti gruppi black block), come quello avvenuto a S. Giovanni, noi stiamo incondizionatamente dalla parte dei giovani e della loro resistenza, indipendentemente dalle cause d'innesco dello scontro. Come facemmo il 14 dicembre di un anno fa, contro ogni scandalismo perbenista. Ed oggi respingiamo la campagna repressiva del governo, sostenuta dal Pd e da Di Pietro, contro la cosiddetta area antagonista: indipendentemente dalla distanza politica grande che ci separa dalle posizioni di quest'area, non solo rifiutiamo ogni solidarietà con lo stato delle banche, delle bombe, dei blindati, ma difenderemo ogni compagno/a che sia vittima della sua repressione. Contro ogni posizione di disimpegno o addirittura di neutralità presente nella sinistra e nel movimento stesso.

CONTRO IL VANDALISMO, MA DAL VERSANTE DELLA RIVOLUZIONE. 14 DICEMBRE E 15 OTTOBRE

Ma tutto ciò non significa affatto ignorare le differenze e farci trascinare dalla suggestione mitologica dello scontro fine a sé stesso. Scontri di piazza apparentemente simili per intensità possono assumere infatti significati diversi (e prestarsi a diverse percezioni di massa), a seconda della loro dinamica.
Il 14 dicembre di un anno fa, nelle ore successive al salvataggio parlamentare di Berlusconi, una massa di giovani compagni si diresse spontaneamente verso Montecitorio, scontrandosi con la violenza poliziesca, ed esercitando il proprio diritto all'autodifesa. Quello scontro si sviluppò sul terreno politico della contrapposizione al potere, brandì una rivendicazione democratica comprensibile e popolare (la cacciata del governo e la condanna di un Parlamento corrotto), si circondò perciò stesso di una significativa solidarietà, nonostante la campagna di criminalizzazione .
Il 15 Ottobre, invece, la dinamica degli scontri è stata innescata dalla distruzione metodica di oggetti casuali (automobili, bar, supermarket) ai lati del corteo da parte di limitati settori organizzati. Lo scontro si è dunque prodotto su un terreno estraneo a qualsivoglia prospettiva politica, allo sviluppo del movimento, alla crescita della sua coscienza. Di più: lo scopo di chi lo ha cercato era esattamente quello di boicottare la manifestazione di massa del movimento. Il fatto che poi migliaia di giovani coinvolti alla fine negli scontri abbiano giustamente resistito ai caroselli criminali della celere, non può occultare questo dato.
Questa logica primitiva e distruttiva, coltivata da alcune aree dei centri sociali, dell'anarchismo, di curve ultras, non è affatto una logica “più rivoluzionaria” come in qualche caso cerca di presentarsi. E' l'esatto opposto. E' la ricerca di uno sfogatoio emozionale cieco, in assenza di ogni progetto di rivoluzione reale, e contro la prospettiva di rivoluzione. Il danno che produce infatti non si limita ai benefici contingenti per la propaganda governativa o di centrosinistra, e per il loro cantico ipocrita sulla “condanna della violenza”. Il danno maggiore è l'effetto dissuasivo e distorcente che il vandalismo produce nell'immaginario diffuso delle classi subalterne circa il senso stesso della radicalità di lotta e della rivoluzione: un effetto tanto più negativo nel momento in cui si allarga una diffusa sensibilità anticapitalista- potenzialmente rivoluzionaria- nella giovane generazione.

RIVOLTA DI MASSA E PROGRAMMA ANTICAPITALISTA

Grande dunque è la responsabilità di chi ha favorito questo scenario. Perché lo spazio fornito a queste pratiche è stato ed è direttamente proporzionale all'opportunismo delle direzioni maggioritarie del movimento. La rinuncia ad un assunzione di responsabilità in un momento straordinario di scontro politico e sociale; l'adattamento alla routine di manifestazioni rituali- alla ricerca di un puro spazio mediatico o di qualche pacca sulla spalla degli ambienti benpensanti del centrosinistra e della loro stampa “democratica”- hanno aperto il varco all'avventurismo. Questa è la lezione del 15 Ottobre.
Ora non si tratta di aprire la caccia “militare” ai “black block” all'interno del movimento, alla ricerca di qualche capo espiatorio. Si tratta di andare alla radice delle responsabilità politiche di fondo di quanto accaduto. Di discutere seriamente l'organizzazione della piazza. E soprattutto di rilanciare una prospettiva di rivolta sociale e di classe, su base di massa e su un programma anticapitalista: che resta la condizione decisiva per aprire una pagina nuova, e una nuova prospettiva politica.

17 ottobre 2011,

Comitato esecutivo del Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 13 ottobre 2011

IL 15 OTTOBRE TUTTI A ROMA !

15 OTTOBRE: DIMETTERE BERLUSCONI, APRIRE UNA PAGINA NUOVA.


Il 15 ottobre una grande manifestazione nazionale di lavoratori e di giovani a Roma rivendicherà il diritto a marciare verso i palazzi del potere, come avviene peraltro in tutta Europa.

Non si tratta di chiedere a Berlusconi le dimissioni, ma di imporgliele. Se dopo la bocciatura parlamentare del bilancio Berlusconi non si dimette - ed anzi ricorre alla “fiducia” comprata di un Parlamento di nominati- può e deve essere una mobilitazione di massa, continuativa e radicale, a sgomberare definitivamente il campo.

Il 15 ottobre deve essere l'inizio della svolta: perchè siano i lavoratori e i giovani a rimuovere le macerie del berlusconismo, non i padroni, i banchieri, la BCE.


PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

venerdì 7 ottobre 2011

PER UNA LOTTA GENERALIZZATA, PROLUNGATA E RADICALE!

Volantino per la giornata di lotta degli studenti
del 7 Ottobre

PER UNA LOTTA GENERALIZZATA,
PROLUNGATA E RADICALE!
Il governo sta sottraendo miliardi e miliardi di Euro a scuola ed università pubbliche…
Dobbiamo rispondere, per prima cosa, rivendicando: UNA SCUOLA E UN'UNIVERSITA' PUBBLICHE, LAICHE ,
GRATUITE E DI MASSA , unitamente ad un grande piano di ristrutturazione degli edifici scolastici. Le
risorse devono essere ricavate attraverso:
- L'ABBATTIMENTO DELLE SPESE MILITARI (CIRCA 30 MILIARDI DI EURO L'ANNO);
- L'ELIMINAZIONE DEI PRIVILEGI DEL VATICANO (IN PRIMIS LE ESENZIONI FISCALI);
- L'AZZERAMENTO DEI FINANZIAMENTI PUBBLICI PER LE SCUOLE PRIVATE E CONFESSIONALI;
- LA TASSAZIONE DELLE RENDITE E DEI GRANDI PATRIMONI.
Ma i tagli del governo si abbattono anche sulla sanità, sui trasporti e su ogni altro comparto dei
servizi pubblici e sociali. Tutto ciò per pagare il debito pubblico. Cioè per dare montagne di denaro
ad un pugno di banchieri usurai che si arricchiscono spremendoci come limoni. Insomma, ancora
una volta il fallimento del sistema economico dei banchieri e dei padroni viene scaricato sulla classe
lavoratrice e sulle masse popolari.
Ma tutto questo non basta ai padroni e ai banchieri, che vorrebbero sostituire l’attuale governo con
un esecutivo ancora capitalista (“di emergenza” o “di unità nazionale”) e per questo, sotto impulso
della Marcegaglia, hanno proposto un “manifesto” di lacrime e sangue. Un manifesto che mette in
prosa quanto sottoscritto nel patto sociale del 4 agosto da banche, imprese e sindacati collaborativi
Cisl, Uil, Ugl e la Cgil della Camusso.
Per evitare di finire nel baratro, contro la catastrofe imminente c’è una sola soluzione:
· LA CANCELLAZIONE UNILATERALE DEL DEBITO PUBBLICO! NON PIU’ UN EURO AGLI USURAI!
· LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE BANCHE , SENZA INDENNIZZO E SOTTO IL CONTROLLO DEI
LAVORATORI.
Noi che ora lottiamo come studenti, tra qualche anno dovremo lottare come lavoratori e/o come
disoccupati. La battaglia dei lavoratori è, dunque, anche la nostra battaglia. Tanto più che, se
vogliamo puntare a vincere, bisogna costruire il più ampio fronte di lotta possibile. Bisogna che le
lotte di studenti e lavoratori si saldino e si fondano, assumano un carattere prolungato e pongano
rivendicazioni radicali all'altezza dello scontro.
E' perciò necessario unificare subito tutte le le mobilitazioni e le lotte mettendo in campo:
UNA VERTENZA GENERALE E UNIFICANTE, UNO SCIOPERO GENERALE PROLUNGATO,
UNITO ALL'OCCUPAZIONE DELLE FABBRICHE, DEGLI UFFICI, DELLE SCUOLE E DELLE
UNIVERSITA’.
LAVORATORI E STUDENTI UNITI NELLA LOTTA!
CONTRO I GOVERNI DEI CAPITALISTI DI DESTRA
O DI CENTROSINISTRA!
PER IL GOVERNO DEI LAVORATORI,
PER IL SOCIALISMO!

Partito Comunista dei Lavoratori 

giovedì 6 ottobre 2011

Volantino per la manifestazione del 7 ottobre a Salerno

Pubblichiamo il volantino che verrà distribuito domani mattina durante la manifestazione studentesca che si terrà a Salerno, a partire dalle ore 9.30 in Piazza Ferrovia.
Nel volantino si parla, in particolare, della situazione di degrado in cui versano le strutture scolastiche di Mercato San Severino, purtroppo simile a quella di molte scuole di Salerno e provincia.


E’ ora di dire basta! Di avere spiegazioni certe e accurate!


Il liceo “Publio Virgilio Marone” di Mercato San Severino nel salernitano è da molti, troppi anni una “scuola” relegata nel centro sociale “Marco Biagi”, causa la mancanza di una struttura scolastica adeguata nel territorio e non è purtroppo un caso isolato. Troppi sono gli anni che la ventenne giunta comunale (ormai con un sindaco che c’è ma non si vede) promette e si elogia della fantomatica “prima pietra” per l’inizio dei lavori della struttura, troppi anche gli anni che le varie giunte provinciali (centro-sinistra e centro-destra) promettono un edificio scolastico adeguato per i propri figli ai propri elettori.

Coloro che pagano il malgoverno provinciale e comunale sono gli studenti che, da tempo, sono costretti a sottoporsi a turni pomeridiani, turnazioni per varie decine di giorni in succursali distanti anche chilometri dalla sede centrale e addirittura in casi “straordinari” ad appoggiarsi al convento poco distante per “svolgere normalmente le lezioni”.

Gli studenti, sovraffollati, non hanno classi a norma di legge, materiale scolastico di primaria necessità, laboratori di chimica/fisica, una palestra, un’aula magna, dei bagni decenti, in un’ultima analisi non hanno una scuola.
Per non parlare dei costi dei trasporti pubblici non accessibili a tutti, dei privati costosissimi, spesso in nero, che portano gli studenti presso la propria scuola come fossero dei pacchi da depositare: messi lì, in un furgone, attaccati gli uni agli altri.

La situazione poi è aggravata dalla Legge Gelmini che taglia fondi alla scuola pubblica e si disinteressa totalmente della situazione dell’edilizia scolastica italiana ormai più che decadente.

E’ ora di dire basta! Di avere spiegazioni certe e accurate!

Attendiamo un’assemblea pubblica cui partecipino gli studenti, la cittadinanza di San Severino, il sindaco e assessore regionale Giovanni Romano e l’assessore all’edilizia scolastica (Nunzio Carpentieri) per avere le opportune delucidazioni riguardante le sorti del “Publio Virgilio Marone”.

Il 7 Ottobre, sciopero generale studentesco, è un altro momento di rivolta studentesca che può essere valorizzato solo se impostato come l’inizio di una rivolta sociale che parta dalle rivendicazioni degli studenti fino ad arrivare a quelle degli operai per creare un blocco sociale unito, che ponga fine allo scempio finanziario dei governi di centro-destra e centro-sinistra, stessa espressione dei poteri forti della finanza.
Per un governo dei lavoratori

Per i lavoratori e gli studenti!


Partito Comunista dei Lavoratori
 Sezione provinciale di Salerno

mercoledì 5 ottobre 2011

NOI IL DEBITO NON LO PAGHIAMO. INTERVENTO DI MARCO FERRANDO ALL' ASSEMBLEA NAZIONALE DEL 1° OTTOBRE A ROMA

L'intervento di Marco Ferrando all'assemblea pubblica del movimento "Noi il debito non lo paghiamo". Al teatro Ambra Jovinelli di Roma erano presenti circa 800 persone.

NOI IL DEBITO NON LO PAGHIAMO



PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

sabato 1 ottobre 2011

15 OTTOBRE: RIVENDICARE IL DIRITTO A MANIFESTARE SOTTO I PALAZZI DEL POTERE

nota nazionale di Marco Ferrando

Per il 15 Ottobre si annuncia, com'è noto, una grande manifestazione di massa a Roma, nel quadro della giornata di mobilitazione europea promossa dagli indignati spagnoli contro le politiche dominanti. E' una scadenza di grande importanza, come dimostra l'ampio spettro di soggetti coinvolti e l'attenzione che sta richiamando ovunque. Tutti i soggetti di fatto promotori della manifestazione, incluso il PCL, sono dunque impegnati a garantire il massimo successo di partecipazione popolare all'iniziativa e il suo massimo impatto politico.

Al tempo stesso, nel pieno rispetto del coordinamento unitario promotore che si è costituito, riterrei sbagliata ogni rinuncia pregiudiziale a rivendicare il diritto della manifestazione a dirigersi verso i palazzi del potere: Palazzo Chigi e Montecitorio. Una proposta già avanzata dal PCL in sede di coordinamento, che voglio qui riprendere e argomentare.

IN TUTTA EUROPA SI MANIFESTA DAVANTI ALLE SEDI DEL POTERE

In tutta Europa- tanto più in questa fase- le grandi manifestazioni di massa si dirigono verso le sedi del Governo e del Parlamento. Così ad Atene in piazza Syntagma, così a Madrid, così a Londra.. Ed è naturale: perchè “il popolo” manifesta contro “il potere”. Perchè questa scelta esalta la contrapposizione politica diretta alle rappresentanze degli industriali e dei banchieri, ai loro luoghi istituzionali, ai loro partiti ( di governo e di “opposizione”). Chiedo: perchè in Italia dovrebbe essere diversamente? E soprattutto: perchè dovremmo noi rassegnarci a questa “diversità”? Proprio la giornata europea di mobilitazione contro i governi non dovrebbe costituire il momento ideale per rivendicare anche in Italia il diritto riconosciuto e praticato nel resto d'Europa? Continuare a subire una lesione della stessa democrazia borghese, nel momento stesso in cui rivendichiamo “una democrazia reale” e alternativa sarebbe – mi pare- una contraddizione singolare.

IN ITALIA GOVERNO E PARLAMENTO SCUDO DELLA PEGGIORE REAZIONE

Per di più in Italia abbiamo di fronte il governo più reazionario d'Europa ( se si fa eccezione per l'Ungheria), il Parlamento più corrotto e addomesticato della UE, tra i più alti livelli di condivisione bipartisan delle scelte di fondo della BCE e dell'Unione, sotto la benedizione congiunta di Bankitalia e della Presidenza della Repubblica. Perchè dunque proprio in Italia si dovrebbe rinunciare a manifestare sotto i palazzi del potere?

E' una rinuncia tanto più incomprensibile in questo momento politico. La frattura tra potere politico-istituzionale e senso comune popolare non è mai stata così profonda. Il governo Berlusconi è in caduta libera di consensi. Il suo blocco sociale è in disfacimento. Il Parlamento è un simulacro di complicità e di impotenza, come rivelano i salvataggi spudorati dei più corrotti faccendieri di regime( Milanese). Manifestare oggi sotto Palazzo Chigi e Montecitorio avrebbe dunque un significato politico e simbolico maggiore che in tante altre situazioni ordinarie. Non sarebbe un gesto “ideologico” e minoritario, ma un atto di profonda sintonia col più vasto sentimento popolare ( che non va abbandonato al populismo qualunquista o reazionario). Perchè allora non rivendicare apertamente questo diritto?

I POTERI FORTI VOGLIONO UN RICAMBIO POLITICO “ORDINATO”. PER QUESTO DIFENDONO LA SACRALITA' DELLE ISTITUZIONI

L'argomento ( apparentemente “di sinistra”) secondo cui la manifestazione del 15 non è “contro Berlusconi” ma contro tutte le politiche dominanti in Europa; che “non siamo ansiosi di rovesciare Berlusconi per favorire un governo Montezemolo( o simili)”; che DUNQUE è secondario e “provinciale” dirigersi su Palazzo Chigi e Parlamento, mischia confusamente giuste premesse e conclusioni sbagliate.

Il rovesciamento di massa del “proprio” governo è oggi come ieri-in ogni Paese- non solo il più grande contributo alla propagazione internazionale della ribellione sociale, ma anche un bastone tra le ruote di ogni progetto di alternanza borghese. I poteri forti che stanno lavorando a rimpiazzare Berlusconi con un più diretto governo dei banchieri hanno bisogno di un quadro di pace sociale e di ordine pubblico. Di ritessere la concertazione con la Cgil ( ben ricambiati). Di disporre di una scacchiera sgombra da ogni irruzione di massa. Il loro terrore è che la crisi del berlusconismo e della seconda Repubblica possa trascinare con sé ripresa di conflitto e “disordine” di piazza.. Da qui il cantico della “solidarietà nazionale” attorno alle “Istituzioni”, propagato da tutta la stampa borghese e recitato solennemente da Napolitano. Da qui anche.. la difesa della “sacralità” del Parlamento, di Piazza Montecitorio, di Piazza Colonna, di tutti i luoghi istituzionali. Sino alle grida isteriche e bipartisan di fronte alla più piccola e innocua manifestazione di protesta davanti al Palazzo come è recentemente avvenuto.

UNA MANIFESTAZIONE STRAORDINARIA PER LA RIVOLTA SOCIALE

Per queste stesse ragioni una grande manifestazione di massa davanti a Governo e Parlamento, non è solo un diritto democratico, ma un atto politico che collide con tutta la logica dell'alternanza e dei poteri forti. Perchè è un atto che allude -fosse pure simbolicamente- alla prospettiva della rivolta sociale: l'unico fattore capace di rovesciare Berlusconi dal versante delle ragioni dei lavoratori e non dei banchieri, di spostare i reali rapporti di forza, di aprire la via ad un'alternativa vera.
Il punto vero è se vogliamo PROVARE a investire la manifestazione del 15 Ottobre in una prospettiva di reale ribellione di massa, nel cuore della crisi italiana ed europea, oppure se la concepiamo PREGIUDIZIALMENTE come una ordinaria manifestazione di propaganda: naturalmente importante, naturalmente di massa,
ma destinata di fatto a lasciare le cose come stanno, al pari di tutte le tradizionali manifestazioni d'autunno. Questo è il bivio.

LIBERARSI DA UNA PREGIUDIZIALE RINUNCIATARIA

L'obiezione secondo cui non ha senso chiedere di dirigersi su Palazzo Chigi perchè “tanto non ce lo concedono”, ” rischiamo di aizzare estremismi e avventurismi” “non ci sono i rapporti di forza” ecc., riflette una psicologia politica rinunciataria. Se gli oppressi dovessero rivendicare solo ciò che “viene loro concesso” la storia umana avrebbe fatto pochi passi in avanti. Rivendicare l'”impossibile” è da sempre la condizione decisiva per ottenere “possibili” conquiste: così è stato per il diritto di sciopero, così è stato per il diritto di votare e manifestare. I rapporti di forza si modificano con la lotta politica e di massa, a partire dalla rivendicazione di ciò che è giusto. Non con la rinuncia a rivendicare ciò che è giusto nel nome “dei rapporti di forza”. E ciò è tanto più vero, concretamente, qui e ora: di fronte a un governo reazionario,profondamente indebolito, attraversato da una furiosa guerra per bande, sempre più odiato o detestato dalla maggioranza dei lavoratori e del popolo. Rivendicare pubblicamente il diritto a manifestare sotto i palazzi del potere, fare del prevedibile rifiuto del governo un caso di scandalo pubblico, potrebbe essere di per sé un volano di preparazione della manifestazione di massa contro un governo che “rifiuta ciò che si concede nel resto d'Europa”. Peraltro proprio il rifiuto pregiudiziale a rivendicare pubblicamente questo diritto,a premere per la sua affermazione, a preparare organizzativamente e unitariamente la gestione di piazza di questa rivendicazione, rischia questo sì di lasciare spazio a iniziative avventuriste “fai da te”, magari in ordine sparso, estranee ad una logica di massa, a scapito dell'impatto politico del 15 ottobre.

PREGIUDIZI COSTITUZIONALI E SPIRITO DI ROUTINE

In realtà le resistenze di alcuni settori a rivendicare un diritto democratico così elementare mi pare abbia un sottofondo politico, che sovrappone due elementi diversi.

Su un versante, agisce la lunga tradizione, tipicamente italiana, della mitologia costituzionale, che ha attraversato l'intero dopoguerra, e che ha seminato una cultura reverenziale verso le “istituzioni” dello Stato, maggiore che in altri Paesi ( per cui ad esempio la Presidenza della Repubblica è largamente venerata nella stessa ”sinistra radicale” anche quando sorregge l'odiato Berlusconi e chiede misure più severe i lavoratori).

Su un altro versante, anche in ambiti di “estrema sinistra”, opera uno spirito di routine, che fa della contestazione del potere uno spazio di propria caratterizzazione più che un investimento nella prospettiva di rivoluzione: per cui spesso il problema centrale di una manifestazione, al di là delle parole d'ordine formali, non è il suo investimento nell'azione di massa e nel suo sviluppo, ma solo la conquista di uno spazio d'immagine a livello mediatico e di una buona critica di opinione della stampa “democratica”. Utile magari in qualche caso per negoziare a futura memoria un accordo col centrosinistra, in altri casi a strappare solo lo scampolo di una benevola intervista. Ma sempre in un ottica segnata dall'interesse autoconservativo di un piccolo o grande “ceto politico”, non dall'interesse generale di una prospettiva di emancipazione e liberazione.

Questo retroterra culturale, sempre distorto, rischia di diventare tanto più conservatore nei momenti straordinari della vita politica e sociale : quando non si tratta di vivere di routine, ma di assumersi le proprie responsabilità di fronte a snodi politici di fondo. La crisi della seconda Repubblica e la “catastrofe” italiana, dentro la più grande crisi dell'Europa capitalista, è esattamente uno di questi momenti.

IN CONCLUSIONE

Parteciperemo dunque col massimo impegno alla manifestazione del 15 Ottobre, nel rispetto del suo spirito unitario e delle scelte che il coordinamento promotore - di cui siamo parte- farà. Ma senza rinunciare al nostro punto di vista. Senza rinunciare a proporre la massima combinazione di unità e radicalità. Senza rinunciare a lavorare perchè ogni manifestazione di questo autunno sia investita nella prospettiva di una sollevazione di massa per una svolta vera. Fuori e contro ogni forma di conservatorismo, e di ogni logica rinunciataria.


MARCO FERRANDO

giovedì 1 settembre 2011

NON PUO' FINIRE QUI. PER UNA LOTTA VERA CHE VADA SINO IN FONDO ! SE NE VADANO TUTTI, GOVERNINO I LAVORATORI !

NON PUO' FINIRE QUI.
PER UNA LOTTA VERA CHE VADA SINO IN FONDO !
SE NE VADANO TUTTI, GOVERNINO I LAVORATORI !

Lo sciopero di oggi contro la macelleria sociale di Berlusconi-Tremonti-Bossi non può ridursi a
un atto rituale. Né può rimuovere il bilancio delle scelte dei vertici CGIL.

GOVERNO DI BANDITI, “OPPOSIZIONI” COMPLICI

L'operazione del governo- spalleggiata da Confindustria, banche, CISL, UIL- è semplicemente
infame. Un governo di faccendieri ed evasori scarica la più imponente manovra economica del
dopoguerra sul lavoro dipendente: a vantaggio degli industriali ( Art.8), dei banchieri( tagli
pesanti su pubblico impiego, pensioni, servizi), del Vaticano ( i cui privilegi scandalosi restano
intatti).
Tutto ciò è avvenuto con l'avallo delle “opposizioni”. Che hanno prima consentito la manovra
di Luglio in 3 giorni. Poi hanno accettato l'anticipazione del pareggio di bilancio e il suo
inserimento in Costituzione. Infine hanno addirittura presentato “emendamenti” che in
qualche caso aggravano l'attacco sociale: il PD propone privatizzazioni per 25 miliardi, alla
faccia del referendum di giugno; la UDC un attacco ancor più pesante alle pensioni dei
lavoratori. La verità è che PD e UDC stanno dalla parte degli industriali e dei banchieri nel cui
nome vogliono tornare a governare!

LE SCELTE GRAVISSIME DI SUSANNA CAMUSSO:DIMISSIONI!

E la CGIL? Gli accordi firmati da Susanna Camusso con Confindustria, banche, CISL,UIL,
prima a favore della derogabilità dei contratti nazionali( 28 Giugno), poi a favore
dell'anticipazione e costituzionalizzazione del pareggio di bilancio( 4 Agosto), sono di una
gravità inaudita. Sia in sé. Sia perchè hanno spianato la strada all'attuale macelleria di ragioni
sociali e diritti. Sia perchè hanno rappresentato il segnale di futura disponibilità della Cgil ai
“sacrifici” in occasione di un eventuale ricambio politico di Governo. Il fatto di essere stata
usata e poi scaricata da Marcegaglia, non assolve (semmai aggrava) le responsabilità
politiche dell'attuale segreteria della Cgil. Che va chiamata alle dimissioni.

PER UNA SVOLTA DI LOTTA, UNITARIA E RADICALE

Tanto più oggi occorre una svolta vera del movimento operaio e sindacale: di metodi,
programma, direzione.
Ogni concertazione col padronato è fallita. Al tempo stesso non si regge l'urto drammatico
della crisi capitalista e dell'offensiva del governo senza contrapporre la forza alla forza. Senza
mettere in campo una radicalità uguale e contraria. Senza rompere con tutti i partiti padronali
unendo il movimento operaio attorno ad un proprio programma indipendente di vera svolta.
Solo una sollevazione sociale di massa può sbarrare la strada al governo, strappare risultati,
aprire la via di un'alternativa vera. Solo un programma anticapitalista che punti ad un
governo dei lavoratori, e ad un 'Europa dei lavoratori, può incarnare questa alternativa.

BLOCCARE L'ITALIA, ASSEDIARE I PALAZZI, CACCIARE IL GOVERNO

Lo sciopero di oggi sia solo il punto di partenza. Occorre puntare a bloccare l'Italia sino al
ritiro della manovra. Occupare le aziende che licenziano. Preparare uno sciopero generale
prolungato, su una piattaforma di lotta unificante. Contestare in tutta Italia i sindacati
padronali di Cisl e Uil. Costruire una marcia nazionale, operaia e popolare, su Palazzo Chigi e
Parlamento, che assedi i palazzi del potere sino alla loro resa. Ad attacco straordinario,
risposta straordinaria!

NON UN EURO AI BANCHIERI! GIU' LE MANI DAL LAVORO!

Lo stesso vale sul programma. Vogliono spogliare il lavoro per pagare gli interessi ai
banchieri. E' ora di spogliare i banchieri per salvare il lavoro.
Si rifiuti il pagamento del debito pubblico alle banche, strumento di rapina. Si nazionalizzino
le banche, senza indennizzo per i grandi azionisti, sotto controllo dei lavoratori. Si investano
le enormi risorse così liberate in un grande piano del lavoro per la rinascita sociale di servizi,
sanità, istruzione. Si distribuisca tra tutti il lavoro, con la riduzione dell'orario a parità di paga,
in modo che nessuno ne sia privato.
Si abroghino tutte le leggi di precarizzazione del lavoro, si blocchino i licenziamenti, si
nazionalizzino, senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori, tutte le aziende che
licenziano, calpestano i diritti, ignorano la sicurezza dei lavoratori.
Si abbattano gli scandalosi privilegi Vaticani, i veri lussi della “casta” parlamentare, le enormi
spese militari. Si colpisca davvero l'evasione fiscale con l'abolizione del segreto bancario e il
controllo operaio e popolare su redditi e patrimoni: per finanziare un salario sociale ai
disoccupati che cercano lavoro, ritornare alla previdenza pubblica a ripartizione, estendere le
protezioni sociali.
Si lotti per un governo dei lavoratori, basato unicamente sulle loro ragioni e sulla loro forza :
l'unico governo che possa realizzare queste misure di svolta.

PER LA SINISTRA CHE NON TRADISCE

Questo programma è “troppo” radicale? No. E' tanto radicale quanto radicale è l'offensiva dei
padroni. In compenso è l'unico che indichi una via d'uscita da questo sistema capitalista: che
è interamente fallito, non è riformabile, non ha più nulla da offrire se non disperazione e
miseria. In Italia e nel mondo.
Ricondurre ogni lotta parziale a questa prospettiva generale di rivoluzione è l'unica risposta
vera all'offensiva in atto.
Questa è e sarà la linea di intervento, in ogni lotta, del Partito Comunista dei Lavoratori(PCL):

“la sinistra che non tradisce”.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

giovedì 25 agosto 2011

LO SCIOPERO GENERALE DEV'ESSERE VERO. BLOCCARE L'ITALIA SINO AL RITIRO DELLA MANOVRA. TRASFORMARE L'INDIGNAZIONE POPOLARE IN RIVOLTA SOCIALE.

Nota di Marco Ferrando


Lo sciopero generale convocato dalla CGIL per il 6 Settembre è la registrazione del fallimento degli accordi impresentabili realizzati da Susanna Camusso con Confindustria, banchieri, CISL,UIL ( 28 giugno e 4 Agosto). Accordi vergognosi, dettati unicamente dall'ansia di un rientro nella partita della concertazione con le classi dominanti in vista di un ricambio politico di governo; accordi il cui unico ruolo è stato quello di spianare la strada al governo Berlusconi per un attacco frontale al mondo del lavoro e l'umiliazione della stessa CGIL.

Quanto è avvenuto non può essere certo “sanato” con la convocazione dello sciopero generale, tanto più in assenza di ogni bilancio e revisione di linea. Per questo i compagni del PCL in CGIL daranno battaglia per le dimissioni dell'attuale Segretaria nazionale e la convocazione di un congresso straordinario della Confederazione.

Naturalmente lo sciopero generale del 6 Settembre -attaccato da governo, Confindustria e PD- vedrà la piena partecipazione e sostegno del PCL. Ma tanto più oggi la proclamazione dello sciopero da parte della CGIL non può ridursi ad un atto rituale per salvare la faccia alla burocrazia confederale e le sorti della sua Segreteria.

Lo sciopero del 6 Settembre dev'essere uno sciopero vero. Deve puntare al coinvolgimento più vasto di forze per bloccare l'Italia ( produzione, trasporti, servizi, pubblica amministrazione). Deve combinarsi con l'assedio di massa delle prefetture e delle sedi confindustriali. Deve accompagnarsi ad azioni di contestazione di massa ai sindacati organicamente padronali e governativi di CISL e UIL. Deve rompere definitivamente con la linea degli accordi di luglio e di agosto, sancendo la piena autonomia del movimento operaio e sindacale dal padronato e dal PD. Deve soprattutto segnare l'inizio di una mobilitazione di massa, radicale e ininterrotta, sino al ritiro della manovra e alla cacciata del governo: una mobilitazione che unifichi attorno a sé l'enorme indignazione popolare e assuma i caratteri di un'autentica rivolta sociale contro la dittatura degli industriali, delle banche, del Vaticano.

E' ora che non solo le forme di lotta , ma gli stessi obiettivi del movimento operaio si elevino al livello nuovo della scontro imposto dalla crisi capitalista e dall'offensiva dominante.
Il debito pubblico ai banchieri non va pagato. Le banche vanno nazionalizzate, sotto controllo dei lavoratori. Le immense risorse così risparmiate vanno investite in lavoro, beni comuni, servizi pubblici. Va imposta la cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro, il blocco dei licenziamenti, la nazionalizzazione, sotto controllo operaio, di tutte le aziende che licenziano o violano i diritti sindacali. Va rivendicato l'abbattimento di spese militari, lussi istituzionali, privilegi Vaticani, come via di finanziamento di un vero salario sociale per i disoccupati che cercano lavoro. Va rivendicata un'Europa socialista dei lavoratori contro l'attuale Unione dei capitalisti e dei banchieri.
Il PCL porterà questo programma di svolta nello stesso sciopero generale del 6 Settembre e nelle manifestazioni di piazza che lo accompagneranno: dentro la battaglia più generale per un governo dei lavoratori quale unica vera alternativa.

Solo la forza di una mobilitazione vera, unitaria e radicale, può arrestare la valanga antioperaia, strappare risultati, capovolgere di segno l'intero scenario nazionale, aprire una nuova prospettiva politica.


Marco Ferrando

mercoledì 10 agosto 2011

BANCAROTTA DEGLI STATI O BANCAROTTA DEI LAVORATORI? ABOLIRE IL DEBITO PUBBLICO VERSO LE BANCHE

Documento di Marco Ferrando

(8 Agosto 2011)

BANCAROTTA DEGLI STATI O BANCAROTTA DEI LAVORATORI?
ABOLIRE IL DEBITO PUBBLICO VERSO LE BANCHE

La questione del “debito pubblico” domina lo scenario internazionale ed europeo. Il clamoroso declassamento del debito americano, in queste ore, ne è una riprova.
I circoli dominanti e i loro partiti presentano il nodo del debito come “questione tecnica” inerente alla oggettività “naturale” delle “leggi economiche”. In realtà si tratta di una grande questione sociale e di classe che svela la totale irrazionalità del capitalismo e le dinamiche della sua crisi.
Vediamo meglio.


LE ORIGINI DEL DEBITO PUBBLICO NEGLI ANNI 80

L'esplosione del debito pubblico ha come sfondo l'esaurimento del boom economico postbellico. Lo sviluppo economico del dopoguerra, trascinato prima dalla ricostruzione , poi dalle spese militari della guerra fredda, aveva consentito- sia negli Usa ,sia in Europa- una progressiva riduzione del debito pubblico accumulatosi durante la guerra. L'esaurimento del boom all'inizio degli anni 70 ( con la crisi recessiva internazionale del 74-75) mutò radicalmente il quadro. Per contrastare la caduta del saggio di profitto, il governo americano e i governi europei inaugurarono una politica economica di riduzione progressiva delle tasse sulle voci del capitale: rendite, profitti, patrimoni. Fu l'epoca del Reaganismo e del Teacherismo. Ovunque le classi dirigenti furono alleviate degli oneri di “responsabilità sociale”. Ovunque le classi subalterne pagarono di tasca propria il beneficio dei possidenti, con una prima compressione delle protezioni sociali acquisite, in varie forme, nel ciclo precedente. Queste politiche capitaliste furono del tutto incapaci di rilanciare una vera crescita economica capitalista. Ma furono capaci di concorrere al dissesto dei bilanci pubblici, che non a caso videro dagli anni 80 una diffusa impennata del debito.

LE BANCHE INVESTONO NEL DEBITO PUBBLICO

Come finanziare l'erario pubblico, nel momento in cui si dispensavano sempre più i capitalisti dallo spiacevole onere di pagare le tasse? In parte, come s'è detto, aggravando la pressione( anche fiscale) sul lavoro dipendente. In parte- ecco il punto- indebitandosi sul mercato finanziario. Cioè mettendo in vendita titoli di Stato a un determinato tasso di interesse e relativamente appetibili ( anche per i benefici fiscali spesso concessi ai compratori). Chi erano i compratori dei titoli di Stato? Certo anche piccolo borghesi, pensionati, fasce di lavoratori, che ancora disponevano negli anni 80 e nei primissimi anni 90 di un qualche risparmio da investire. Ma i maggiori compratori divennero sempre più, a partire dalla metà degli anni 90, i cosiddetti “investitori istituzionali”: grandi banche ( private e pubbliche), compagnie di assicurazione, imprese industriali, cordate finanziarie. Dentro un mercato finanziario sempre più allargato su scala planetaria dal crollo del Muro di Berlino, dinamicizzato dalle nuove tecnologie informatiche, sospinto dal quadro di perdurante stagnazione economica produttiva. Proprio così: contrariamente al diffuso luogo comune riformista che dipinge il liberismo e la finanziarizzazione come progressiva emarginazione dello Stato dall'economia, fu proprio il mercato dei titoli di Stato a contribuire significativamente alla espansione del capitale finanziario negli ultimi 20 anni. E con esso del debito pubblico.

LO STATO PAGA I BANCHIERI

Debito di chi verso chi? Questo è il punto rimosso ( significativamente ) dal dibattito pubblico. Eppure è il punto decisivo. Se è vero come è vero che gli acquirenti dei titoli di Stato sono sempre più i grandi potentati industriali e finanziari, il pagamento del debito pubblico si riduce al pagamento degli interessi alle banche, alle assicurazioni, ai capitalisti. La crescita del debito pubblico è solo la crescita del versamento di denaro pubblico nelle tasche delle classi sociali dominanti. Che per di più sono quelle già sgravate progressivamente dal pagamento delle tasse e dunque responsabili del dissesto dei bilanci statali. E chi paga dunque il pagamento del debito pubblico? Naturalmente le classi subalterne, quelle già gravate dal grosso del carico fiscale, con un nuovo carico di sacrifici.

CRISI CAPITALISTICA E DEBITO SOVRANO. CRESCE LA RAPINA AL SERVIZIO DELLE BANCHE

Questo meccanismo infernale ha ricevuto una spinta ulteriore e abnorme proprio dalla grande crisi capitalistica internazionale iniziata nel 2007.
Cos'è successo? E' successo che la crisi di sovraproduzione mondiale e il crollo della piramide finanziaria hanno scosso alle fondamenta il sistema bancario internazionale, a partire dagli USA. Gli stessi Stati e governi che per anni avevano cantato ( ipocritamente) le lodi del liberismo quando dovevano giustificare tagli sociali alla povera gente, sono accorsi precipitosamente al capezzale delle banche versando loro una massa gigantesca di risorse pubbliche: pagate da un nuovo e più pesante attacco a sanità, pensioni, istruzione, lavoro, ma anche da una crescita enorme del debito pubblico. Cioè da un nuovo massiccio indebitamento dello Stato presso banchieri e capitalisti. E qui viene il bello: larga parte dei soldi regalati dallo Stato a capitalisti e banchieri sono stati da questi investiti non in produzione e lavoro ( data anche la crisi di sovraproduzione), ma nell'ennesimo acquisto di Titoli di Stato, cioè nel debito pubblico.
Ecco allora la contraddizione esplosiva: da un lato i bilanci pubblici sono sempre più dissestati dall'aiuto statale ai banchieri; dall'altro i banchieri, acquirenti dei titoli di Stato ( coi soldi regalati dallo Stato) pretendono da quest'ultimo assoluta certezza di pagamento degli interessi pattuiti. E dunque una politica di maggiore“rigore” della finanza pubblica. Ecco ciò che si chiama “ solvibilità dello stato”: l'affidabilità dello Stato nel pagamento dei banchieri. E come fa lo Stato a conquistarsi tale affidabilità? Approfondendo sempre più la rapina sociale commissionata dalle banche contro i lavoratori e la maggioranza della società. Una rapina che oggi conosce, in America come in Europa, una drammatica intensificazione. Sotto i governi di ogni colore. E con un'ampia corresponsabilità bipartisan.

DEBITO PUBBLICO E UNIONE EUROPEA

La crisi del debito sovrano investe in particolare l' Unione Europea. Perchè qui la crisi economica si somma con la crisi politica dell'Unione.

E' vero: il debito pubblico europeo è mediamente minore, non maggiore, di quello americano o giapponese. Ma a differenza degli Usa o del Giappone, che dispongono di un unità statale e di una Banca centrale di garanzia, la U.E. versa in una situazione esattamente opposta. E la contraddizione tra una “moneta unica” e l'assenza di un unico Stato genera un quadro caotico proprio sul terreno finanziario. Tanto più sullo sfondo di una divaricazione strutturale progressiva tra gli Stati capitalistici centrali dell'Unione ( in particolare la Germania) e gli Stati periferici mediterranei.

Il caso Grecia ha semplicemente fatto da detonatore di questa contraddizione esplosiva. Non solo ( e non tanto) per l'insolvibilità di fatto del debito greco presso le banche francesi e tedesche, grandi acquirenti dei titoli ellenici. Ma per l'assenza ,che quel caso ha evocato, di un meccanismo generale di garanzia dei titoli di Stato in Europa e dunque per le banche che li possiedono.

Il cosiddetto “ Fondo europeo salva stati” ( cioè salva banche) che formalmente è stato predisposto( dopo un estenuante contenzioso interno), non solo non ha risolto il problema, ma l'ha riproposto al massimo grado. Sia per i tempi lunghi della sua operatività, sia per l'esiguità dei fondi a disposizione, sia per la discrezionalità dell'eventuale intervento ( chi decide?), sia per il (parziale) coinvolgimento nel salvataggio delle stesse banche private acquirenti dei titoli. Ciò ha spinto e spinge una parte consistente di istituti finanziari internazionali ( anche europei) a disfarsi dei titoli di Stato europei, per ripiegare altrove. E questo fatto genera due fenomeni complementari. Da un lato un calo di valore dei titoli statali, e quindi del patrimonio delle banche che li possiedono, con una ricaduta restrittiva sul credito alla produzione; dall'altro una crescita dei loro “rendimenti”, cioè dei tassi d'interesse a cui sono venduti: perchè aumentando il rischio dell'insolvibilità del venditore ( lo Stato), il compratore ( la banca) pretende un maggiore guadagno.

CRESCITA DEI “RENDIMENTI” E PRATICA LEGALE DELL'USURA

Come si vede la pratica criminale dell'usura è moneta corrente delle relazioni economiche capitaliste. Non solo non è condannata dalla morale dominante, men che meno dalla legge, ma viene addirittura elevata a legge naturale dell'economia e dunque a ragione della rapina antipopolare. Quante volte sentiamo ripetere in Italia che il rialzo dei rendimenti dei “nostri” titoli di Stato costringe a un più virtuoso “rigore” ( contro i lavoratori)? Il fatto che magari il rialzo dei rendimenti sia dovuto a vendite massicce dei titoli italiani da parte della Deutsche Bank viene accuratamente rimosso. Meglio accusare ignoti e fantomatici “speculatori”, o l'impersonalità dei “mercati”, piuttosto che il cuore di quella fraterna Unione per cui si chiedono tanti sacrifici agli operai. Resta il fatto che in tutta Europa, il pagamento del debito alle banche strozzine è diventata la bandiera di una nuova mostruosa rapina. L'unica Unione che i capitalisti europei e i loro Stati hanno saputo realizzare è quella contro il proletariato continentale al servizio delle proprie banche.


DEBITO PUBBLICO E CAPITALISMO ITALIANO

La crisi finanziaria in Italia è figlia della crisi europea.

Certo, la questione del debito pubblico in Italia ha radici specifiche e lontane, connesse con la storia dell'unificazione nazionale, col particolare retaggio del parassitismo clientelar/burocratico della prima Repubblica, con i privilegi secolari del Vaticano in Italia (anche in fatto di esenzione fiscale), col carattere patologico dell'evasione fiscale delle classi proprietarie . Ma queste antiche radici - anch'esse peraltro legate alle caratteristiche strutturali del regime borghese, e alla sua particolare conformazione nazionale - non possono cancellare l'attuale natura prevalente del debito pubblico italiano: un debito sospinto e riprodotto negli ultimi 20 anni dalla dipendenza crescente dello Stato verso il capitale finanziario, interno e internazionale. Un debito dominato dalle banche.

La propaganda dominante che attribuisce il debito pubblico all'eccesso di concessioni ai lavoratori e agli strati popolari ( “siete vissuti al di sopra delle vostre possibilità”) non solo è totalmente falso ma capovolge esattamente i termini della questione. E' stata proprio la progressiva defiscalizzazione delle classi proprietarie, pagata dal peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, ad accompagnare strutturalmente la crescita del debito pubblico. Basta guardare l'evoluzione del regime fiscale in Italia negli ultimi 20 anni e la parallela redistribuzione della ricchezza a vantaggio di rendite, profitti, patrimoni. Detassazione delle classi proprietarie, aumento del prelievo fiscale sul lavoro dipendente, espansione della grande ricchezza immobiliare e finanziaria e sua concentrazione in poche mani: questi sono i dati che hanno accompagnato la crescita del debito pubblico. Perchè? Perchè il vuoto dei conti pubblici( nazionali e locali) aperto dalla detassazione del capitale è stato compensato dal ricorso sempre più largo dello Stato all'indebitamento verso le banche. Le quali, prima beneficiate dai tagli fiscali, poi beneficiate dal pagamento degli interessi sui titoli, hanno anche per questo allargato la propria presa sul grosso della società italiana e dei suoi gangli vitali, allargando il processo di accumulazione di ricchezza. La struttura “bancocentrica” del capitalismo italiano è oggi riconosciuta dalla stessa stampa borghese.

CHI POSSIEDE OGGI IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO? LE BANCHE

Chi possiede oggi il debito pubblico italiano? Per il 50% banche, imprese, e istituti finanziari stranieri. Per l'altra parte banche, imprese, e assicurazioni italiane. Fuori da questi pacchetti proprietari restano davvero pochi spiccioli. Basta questo dato, pubblicamente riconosciuto, per capire chi intasca ogni anno gli 80 miliardi di interessi versati dallo Stato italiano sui propri titoli. Anche in questo caso è la detassazione del capitale ad aver finanziato il debito pubblico persino in forma diretta: i guadagni ricavati dal capitale grazie alle mille regalie fiscali dei governi di centrosinistra e centrodestra ( basti pensare all'enorme riduzione della tassa sui profitti industriali e bancari- dal 34% al 27%- realizzata dall'ultimo governo Prodi) sono finiti in parte nell'acquisto di nuovi titoli statali, e dunque nell'accaparramento di nuove risorse pubbliche. Il beneficio di classe ha finanziato la rapina di classe.

E lo stesso è avvenuto a livello di amministrazioni locali. Dove il taglio massiccio di trasferimenti pubblici dello Stato, (connessi al processo del cosiddetto “federalismo”), e l'esenzione fiscale delle classi proprietarie ( v. per ultima l'esenzione dell'ICI per le stesse abitazioni di lusso da parte del governo Berlusconi), hanno spinto i governi locali all'indebitamento sul mercato finanziario: sino a determinare la somma complessiva di circa 70 miliardi di interessi annuali da versare alle banche. Una somma quasi pari a quella versata dallo Stato centrale. E pagata com'è noto, anche qui, dal taglio sistematico dei servizi ( scuola, asili, trasporti locali..) oltre che dall'aumento di rette,tasse, tariffe.

LE RAGIONI DELLA CRISI ATTUALE DEL DEBITO ITALIANO

Perchè oggi il debito sovrano italiano è entrato in crisi? Perchè i “nostri” titoli di Stato sono investiti dalla bufera finanziaria internazionale? Per un insieme di ragioni di fondo. Tutte riconducibili, in ultima analisi, alla presenza del terzo debito pubblico del mondo ( 120% del PIL). Ma non riducibili a questo solo dato.

Il nuovo patto di stabilità europeo concordato nel marzo 2011 prescrive per l'Italia non solo il pareggio di bilancio entro il 2014 ( oggi anticipato), ma l'abbattimento di 900 ( novecento) miliardi di debito pubblico nei prossimi 20 anni ai fini del raggiungimento del 60% del PIL: significa ogni anno un'operazione finanziaria di 50 miliardi al netto del pagamento degli interessi sul debito. Questa operazione enorme di macelleria è già di per un'impresa titanica. Ma tanto più lo è in un quadro di particolare stagnazione produttiva ( l'economia capitalistica italiana è la più stagnante delle grandi economie europee), e alla vigilia di un possibile terremoto politico istituzionale interno ( connesso alla crisi della seconda Repubblica).

A ciò si aggiunge un particolare decisivo: a differenza della Grecia, del Portogallo o dell'Irlanda, che contano dopo tutto una massa debitoria relativamente modesta, e sono quindi passibili di “aiuto”, l'Italia registra un debito pubblico enorme in cifra assoluta ( 1800 miliardi a fronte dei 350 della Grecia) e un suo salvataggio sarebbe economicamente improponibile. Ma al tempo stesso un default dell'Italia- cioè della settima economia capitalistica mondiale- trascinerebbe con sé il crollo dell'Unione e dell'Euro, con un effetto domino sul sistema bancario internazionale.
Tutto questo eleva enormemente il “rischio” dei titoli italiani sul mercato finanziario. E dunque la pretesa di un rendimento più alto da parte delle banche strozzine creditrici. Ciò che determina a sua volta un ulteriore aumento del debito e del relativo “rischio”. Questa è la spirale che sta avvolgendo l'economia italiana.

CRISI DEL DEBITO PUBBLICO E CRISI DEI TITOLI BANCARI

C'è di più. E' vero che le banche italiane sono state meno esposte di altre sul mercato mondiale dei titoli tossici, e non sono coinvolte direttamente in bolle immobiliari esplosive come quelle spagnole. Ma è vero anche che sono molto esposte sul versante dei titoli di Stato di cui sono grandi acquirenti. Questo significa che un calo di valore dei titoli italiani si traduce direttamente in un calo patrimoniale delle banche. Mentre la crescita dei rendimenti dei titoli di Stato costringe le banche, per ragioni di concorrenza, ad alzare i rendimenti delle proprie obbligazioni, fonte primaria del loro autofinanziamento: il che significa una loro maggiore spesa di interessi proprio nel momento del loro indebolimento patrimoniale. La conseguenza di tutto questo è molto semplice: la crisi del debito sovrano trascina con sé la crisi dei titoli bancari italiani ( non a caso i più penalizzati dalle Borse). E la crisi dei titoli bancari si traduce a sua volta in un indebolimento del capitalismo italiano e della credibilità finanziaria dei suoi titoli di Stato sul mercato internazionale.

L'UNITA' NAZIONALE A SOSTEGNO DELLE BANCHE E DELLA LORO RAPINA

Ecco dunque la risultante d'insieme: i titoli di Stato italiani tendono a valere sempre meno e dunque a costare sempre di più alle banche acquirenti. E le banche, interne ed estere, pretendono come garanzia del loro “rischio”, cioè della solvibilità dell'Italia, una politica di massacro sociale ancor più severa e convincente. Tutta la drammatica stretta sociale e finanziaria di queste settimane, ( prima una finanziaria di 40 miliardi, poi il suo raddoppio di fatto in 10 giorni, poi l'anticipo del pareggio di bilancio deciso su pressione della BCE in 24 ore, poi ancora l'annuncio di nuove misure di rapina contro lavoro e pensioni..) sono solo l'affannosa rincorsa del ricatto usuraio delle banche e dei loro portavoce istituzionali. Oltrechè un cedimento alle pressioni dirette della BCE e dei governi francese tedesco, le cui banche sono molto esposte sui titoli italiani.

Il fatto che su questo signorsì ai banchieri sia scattata una grande unità nazionale tra governo e opposizioni liberali, e persino tra industriali e burocrazia CGIL ( sino alla scena umiliante di una Camusso rappresentata dalla Marcegaglia al tavolo col governo), misura solamente la comune subordinazione di tutti gli attori in commedia allo spartito del capitalismo italiano ed europeo. Il che non elimina contraddizioni interne e neppure possibili rotture tattiche ( anche per via del nodo politico irrisolto di Berlusconi). Ma chiarisce in modo definitivo che il pagamento del debito pubblico ai banchieri è la bussola attorno a cui ruota tutto l'universo politico dominante. Al di là di ogni confine di schieramento.

ABOLIRE IL DEBITO VERSO LE BANCHE: L'UNICA ALTERNATIVA REALE

Proprio per questo è necessario e urgente contrapporre alla bussola dominante un'altra bussola. Quella di un piano anticapitalista per uscire dalla crisi, che risponda unicamente alle esigenze del lavoro, contro gli interessi di Confindustria e banche. Un piano che chiami alla mobilitazione di massa straordinaria la classe operaia, la giovane generazione, tutti i movimenti di lotta. Un piano che abbia una radicalità uguale e contraria a quella dei piani padronali. Un piano che proprio per questo parta dalla rivendicazione elementare e unificante imposta dalla crisi: l'abolizione del debito pubblico verso le banche, interne e internazionali, sia a livello statale, sia a livello delle amministrazioni locali. In altri termini, il rifiuto di pagare gli interessi sul debito agli strozzini.

Non c'è altra soluzione. I capitalisti, i loro partiti, i loro governi, vogliono costringere alla bancarotta i lavoratori e i servizi sociali, per cercare di evitare la bancarotta del proprio sistema di sfruttamento. I lavoratori possono e debbono rivendicare la bancarotta dello Stato ( cioè il rifiuto di pagare gli usurai), per tutelare la propria condizione sociale e i propri diritti più elementari. Nessuna difesa del lavoro, della sanità della scuola pubblica, della previdenza; a maggior ragione nessuna rinascita sociale dell'Italia saranno realisticamente possibili, senza troncare il nodo scorsoio del debito pubblico. Cioè la dipendenza dalle banche. Solo questa misura potrà liberare una massa enorme di risorse pubbliche da investire nei beni comuni e in un grande piano del lavoro.

“Ma come faranno le banche a sopravvivere sul mercato” di fronte all'insolvenza dello Stato? Risposta: le banche dovranno essere nazionalizzate, senza indennizzo, e sotto controllo dei lavoratori, proprio per sottrarle alla logica del mercato, per unificarle in un unica banca pubblica sotto controllo sociale, che provveda al sostegno dei lavoratori secondo l'interesse pubblico, non alla loro rapina secondo l'interesse privato.

Ma cosa ne sarebbe dei “piccoli risparmiatori”? I piccoli risparmiatori sarebbero integralmente salvaguardati dalla banca pubblica, proprio all'opposto di quanto avviene oggi: dove la speculazione dei banchieri spesso travolge in primo luogo proprio i piccoli risparmiatori, più volte oggetto di truffe criminali ( Parmalat, Cirio, bond argentini..) da parte dei grandi azionisti delle banche private.

“Ma l'annullamento del debito pubblico e la nazionalizzazione delle banche non sono possibili nell'Unione Europea”. Se è per questo nell'Unione Europea dei capitalisti e dei banchieri non è “possibile” nemmeno tutelare il lavoro, la previdenza pubblica, i diritti sociali, come mostra l'esperienza pratica di ogni Paese. La verità è che solo il rifiuto dell'Unione delle banche e delle sue leggi può liberare le classi lavoratrici dalla dittatura del capitale finanziario e aprire una prospettiva nuova. Il rifiuto del debito pubblico e la nazionalizzazione delle banche vanno esattamente in questa direzione: quella di un Europa dei lavoratori. Del resto: è un caso che questa rivendicazione cominci ad affiorare in settori d'avanguardia del movimento operaio europeo o nel movimento degli indignati spagnoli?


GOVERNINO I LAVORATORI, NON I BANCHIERI: IN ITALIA,IN EUROPA,NEL MONDO

Il punto decisivo è un altro. L' abolizione del debito pubblico verso le banche e la loro nazionalizzazione sono incompatibili con la struttura capitalistica della società , con la natura dei governi borghesi di ogni colore, con le loro istituzioni internazionali, con la stessa natura attuale dello Stato. Non possono essere realizzate per via di una semplice pressione di movimento sui partiti dominanti, tutti legati a doppio filo al mondo degli industriali e delle banche ( e spesso presenti non a caso sui loro libri paga). Possono essere realizzate sino in fondo solo da un governo dei lavoratori, che ponga i lavoratori al posto di comando: da un governo che rovesci l'attuale dittatura degli industriali e dei banchieri per rivoltare da cima a fondo l'intero ordine della società capitalista, e costruire una società socialista. Una società che possa realmente decidere il proprio destino, senza dipendere dal gioco d'azzardo delle Borse, dall'anarchia del mercato, dalla legge del profitto.

Il nuovo acutizzarsi della crisi capitalistica, nel mondo, in Europa, in Italia, ripropone questa prospettiva rivoluzionaria come unica possibile via d'uscita.

Costruire in ogni lotta parziale il senso di questa prospettiva generale è il lavoro del Partito Comunista dei Lavoratori.


MARCO FERRANDO

BLOCCARE L'ITALIA

(6 Agosto 2011)

comunicato stampa PCL

Utilizzando la vergognosa sudditanza della CGIL verso industria e banche, il governo trova la forza di una dichiarazione di guerra alla maggioranza della società italiana. Venti miliardi di tagli sociali, liberalizzazione dei licenziamenti, privatizzazione di beni e servizi, revisione liberista della Costituzione, significano esattamente questo. Il fatto che ciò avvenga per mano di un governo del malaffare, per di più sconfessato dal voto popolare, misura l'enormità della provocazione ; ma anche la connivenza “tricolore” delle “opposizioni” parlamentari: che per conto dei banchieri italiani ed europei avevano richiesto pubblicamente, non a caso, una manovra “più rigorosa”.

Questa valanga non può essere arrestata con mezzi ordinari, ma solo da una straordinaria mobilitazione di massa che blocchi l'Italia sino al ritiro della manovra. Tutte le sinistre politiche, sindacali, di movimento hanno il dovere di realizzare il più ampio fronte unico di lotta contro il governo e l'intero fronte confindustriale, puntando apertamente alla sollevazione popolare: l'unico evento che possa cambiare alla radice l'agenda politica italiana. Fuori da questo scenario, il movimento operaio rischia un'autentica regressione storica della propria condizione.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

CONTRO L’OPPRESIONE DEL REGIME DI ASSAD PER LA RIVOLUZIONE SIRIANA

(3 Agosto 2011)

che da mesi, oramai, reprime nel sangue la voglia di cambiamento del popolo non si ferma davanti a niente. Pochi giorni fa i carri armati fedeli al regime hanno attaccato la parte est di Damasco ad Erbin ed ad Hama, decine i feriti e circa dieci i morti che si vanno a sommare alla innumerevoli vittime (150 i morti in poco più di 10 giorni) di questo continuo bagno di sangue. Ma nonostante la violenza espressa dal brutale governo di Bashar al Assad la popolazione siriana non ferma la sua protesta. In questi giorni la gente è scesa nella piazze della città di Lattakia, Homs e alcuni quartieri di Damasco chiedendo la cacciata del governo. La comunità internazionale ( ONU) sulla vicenda siriana, per usare un eufemismo, balbetta. Ad oggi le potenze mondiali si dividono, per le loro logiche di influenza geopolitica, in sostenitori del regime ( Cina e Russia) e chi vorrebbe un nuovo governo ( Usa, Gb e Germania) per poter far prevale la propria influenza su quel territorio.

La sinistra “radicale” italiana invece a riguardo della situazione siriana è ancora più divisa e contorta. Ferrero segretario del PRC fa appello alle nazioni unite ( dovrebbe far appello ai lavoratori siriani), come se le nazioni unite fossero una sorta di arbitrio internazionale che possa pacificare la tragedia siriana e le questioni sociopolitiche internazionali, altri come Diliberto tacciono forse anche a causa dei cordiali rapporti che il PDCI ha avuto in passato con Assad. In campo internazionale oltre la Cina e la Russia anche Chavez – fondatore del nuovo socialismo- sembra apprezzare il capo del governo siriano su di cui ha espresso lusinghiere parole…

IL popolo siriano spinto anche dal vento delle rivoluzioni magrebine è sceso in strada per chiedere migliori condizioni di vita ( tra cui la libertà democratica di espressione), l’unica possibilità che hanno i lavoratori, donne e studenti siriani di vincere è di cacciare questo oppressore è creare un governo dei lavoratori. Non vi sono vie d’uscita diplomatiche, non vi sono scelte di “campo” progressiste ( vecchia logica stalinista), ma c’è solo la rivoluzione.

Per la rivoluzione permanente in Siria!
Per un Medio Oriente laico e socialista!

Eugenio Gemmo D.N. PCL