La manifestazione nazionale del 15 Ottobre a Roma ha visto una grande partecipazione di massa, una vasta presenza di giovani, un diffuso senso comune “anticapitalista”. Ma la sua dinamica è stata distorta da un impostazione politica sbagliata del coordinamento che ha promosso ed organizzato il corteo: un'impostazione che rinunciando ad indirizzare il movimento sul terreno del confronto politico col potere, ha finito con l'amplificare lo spazio di pratiche, impolitiche e nichiliste, avulse da una logica di massa.
LA RESPONSABILITA' DI UN'IMPOSTAZIONE POLITICA RINUNCIATARIA
Quando proponevamo una manifestazione indirizzata verso i palazzi del potere, rivendicavamo non solo il diritto a una pratica diffusa a livello internazionale, ed in particolare europeo; non solo un'iniziativa politica corrispondente alla particolare gravità della situazione italiana, alla natura particolarmente reazionaria del suo governo, alle responsabilità bipartisan nel sostegno alle banche da parte delle “opposizioni” parlamentari; ma anche perciò stesso un'iniziativa di massa capace di segnare politicamente il terreno centrale dello scontro, di unificare e tradurre su quel terreno la domanda diffusa di un corteo “radicale” e non convenzionale, di emarginare per questa via iniziative “fai da te” del tutto estranee allo sviluppo reale del movimento.
Avevamo avvisato i naviganti: ”.. Proprio il rifiuto pregiudiziale a rivendicare il diritto a marciare verso i palazzi del potere, a preparare organizzativamente e unitariamente la gestione di piazza di questa rivendicazione, rischia questo sì di spianare la strada a iniziative minoritarie .., slegate da una logica di massa, a tutto danno dell'impatto politico del 15 Ottobre” (PCL, 25/9/2011)
Purtroppo, siamo stati facili profeti. La scelta maggioritaria di una manifestazione rituale, nel nome del “realismo” e della scelta “pacifica”, ha ignorato la realtà e non ha garantito “la pace”. Ha semplicemente lasciato campo libero a chi ha cercato come terreno di scontro non la contrapposizione politica al potere, non lo sviluppo della radicalità del movimento e della sua coscienza politica, ma l'esercizio pratiche isolate e nichiliste, a danno del movimento di massa.
CONTRO LO STATO E LA SUA REPRESSIONE
Sia chiaro: la nostra critica del vandalismo muove non dalla logica delle questure, ma dall'interesse della rivoluzione. L'avversario fondamentale dei lavoratori, dei giovani, delle loro lotte, non sono i cosiddetti black block, ma il capitalismo e il suo stato.
Non siamo pacifisti, e in ogni caso manteniamo la misura della realtà. La violenza consumata contro auto in sosta o contro le vetrine di negozi - per quanto del tutto inutile e demenziale- resta infinitamente minore della violenza consumata quotidianamente nello sfruttamento di milioni di uomini e di donne, nella segregazione dei migranti, o nelle missioni di guerra. Per questo non parteciperemo mai ai cori sdegnati “contro la violenza” di un ministro degli interni secessionista e xenofobo, o di un centrosinistra amico dei banchieri strozzini, o di un Nichi Vendola che sino a ieri “votava” i bombardamenti in Afghanistan. Noi stiamo dall'altra parte della barricata. In uno scontro tra apparato dello stato e migliaia di giovani di diversa estrazione (ben altro che i cosiddetti gruppi black block), come quello avvenuto a S. Giovanni, noi stiamo incondizionatamente dalla parte dei giovani e della loro resistenza, indipendentemente dalle cause d'innesco dello scontro. Come facemmo il 14 dicembre di un anno fa, contro ogni scandalismo perbenista. Ed oggi respingiamo la campagna repressiva del governo, sostenuta dal Pd e da Di Pietro, contro la cosiddetta area antagonista: indipendentemente dalla distanza politica grande che ci separa dalle posizioni di quest'area, non solo rifiutiamo ogni solidarietà con lo stato delle banche, delle bombe, dei blindati, ma difenderemo ogni compagno/a che sia vittima della sua repressione. Contro ogni posizione di disimpegno o addirittura di neutralità presente nella sinistra e nel movimento stesso.
CONTRO IL VANDALISMO, MA DAL VERSANTE DELLA RIVOLUZIONE. 14 DICEMBRE E 15 OTTOBRE
Ma tutto ciò non significa affatto ignorare le differenze e farci trascinare dalla suggestione mitologica dello scontro fine a sé stesso. Scontri di piazza apparentemente simili per intensità possono assumere infatti significati diversi (e prestarsi a diverse percezioni di massa), a seconda della loro dinamica.
Il 14 dicembre di un anno fa, nelle ore successive al salvataggio parlamentare di Berlusconi, una massa di giovani compagni si diresse spontaneamente verso Montecitorio, scontrandosi con la violenza poliziesca, ed esercitando il proprio diritto all'autodifesa. Quello scontro si sviluppò sul terreno politico della contrapposizione al potere, brandì una rivendicazione democratica comprensibile e popolare (la cacciata del governo e la condanna di un Parlamento corrotto), si circondò perciò stesso di una significativa solidarietà, nonostante la campagna di criminalizzazione .
Il 15 Ottobre, invece, la dinamica degli scontri è stata innescata dalla distruzione metodica di oggetti casuali (automobili, bar, supermarket) ai lati del corteo da parte di limitati settori organizzati. Lo scontro si è dunque prodotto su un terreno estraneo a qualsivoglia prospettiva politica, allo sviluppo del movimento, alla crescita della sua coscienza. Di più: lo scopo di chi lo ha cercato era esattamente quello di boicottare la manifestazione di massa del movimento. Il fatto che poi migliaia di giovani coinvolti alla fine negli scontri abbiano giustamente resistito ai caroselli criminali della celere, non può occultare questo dato.
Questa logica primitiva e distruttiva, coltivata da alcune aree dei centri sociali, dell'anarchismo, di curve ultras, non è affatto una logica “più rivoluzionaria” come in qualche caso cerca di presentarsi. E' l'esatto opposto. E' la ricerca di uno sfogatoio emozionale cieco, in assenza di ogni progetto di rivoluzione reale, e contro la prospettiva di rivoluzione. Il danno che produce infatti non si limita ai benefici contingenti per la propaganda governativa o di centrosinistra, e per il loro cantico ipocrita sulla “condanna della violenza”. Il danno maggiore è l'effetto dissuasivo e distorcente che il vandalismo produce nell'immaginario diffuso delle classi subalterne circa il senso stesso della radicalità di lotta e della rivoluzione: un effetto tanto più negativo nel momento in cui si allarga una diffusa sensibilità anticapitalista- potenzialmente rivoluzionaria- nella giovane generazione.
RIVOLTA DI MASSA E PROGRAMMA ANTICAPITALISTA
Grande dunque è la responsabilità di chi ha favorito questo scenario. Perché lo spazio fornito a queste pratiche è stato ed è direttamente proporzionale all'opportunismo delle direzioni maggioritarie del movimento. La rinuncia ad un assunzione di responsabilità in un momento straordinario di scontro politico e sociale; l'adattamento alla routine di manifestazioni rituali- alla ricerca di un puro spazio mediatico o di qualche pacca sulla spalla degli ambienti benpensanti del centrosinistra e della loro stampa “democratica”- hanno aperto il varco all'avventurismo. Questa è la lezione del 15 Ottobre.
Ora non si tratta di aprire la caccia “militare” ai “black block” all'interno del movimento, alla ricerca di qualche capo espiatorio. Si tratta di andare alla radice delle responsabilità politiche di fondo di quanto accaduto. Di discutere seriamente l'organizzazione della piazza. E soprattutto di rilanciare una prospettiva di rivolta sociale e di classe, su base di massa e su un programma anticapitalista: che resta la condizione decisiva per aprire una pagina nuova, e una nuova prospettiva politica.
17 ottobre 2011,
Comitato esecutivo del Partito Comunista dei Lavoratori