lunedì 23 marzo 2009
LE NAZIONALIZZAZIONI BORGHESI: LA SOCIALIZZAZIONE DELLE PERDITE
La questione “nazionalizzazioni” si pone in questo quadro. Lo sdoganamento borghese di questo termine “proibito” si combina con il rovesciamento di segno del suo significato. Le nazionalizzazioni di cui parlano, in forme diverse, Obama e Merkel, Sarkosy e Berlusconi, Brown e Zapatero, non espropriano banche ma socializzano le loro perdite, ad esclusivo vantaggio dei loro profitti e del loro rilancio . E a carico di lavoratori e contribuenti.
A tutte le latitudini del mondo, le grandi banche capitaliste, protagoniste della ventennale rapina finanziaria, hanno due problemi di fondo: liberarsi dei titoli tossici e ridurre il rapporto tra debito e capitale. Gli Stati e i governi capitalisti di ogni colore si affannano a risolvere questi problemi.
Le forme del loro intervento sono tra loro molto diverse.
Lo Stato può prestare risorse pubbliche alle banche private, o attraverso l’intervento della banca centrale, o attraverso l’acquisto di obbligazioni bancarie ( come i Bond di Tremonti). Una pratica di cui hanno usufruito sinora decine di grandi banche in tutto il mondo ( ma senza risultati..)
Lo Stato può mettere a disposizione delle banche risorse pubbliche sotto forma di “garanzia pubblica dei depositi” dei risparmiatori, al fine di impedire il ritiro dei depositi e di sostenere il valore delle azioni bancarie in Borsa, quindi il patrimonio dei banchieri. E’ ciò che ha fatto in parte il governo Berlusconi con i decreti d’ottobre ( ma le azioni bancarie hanno continuato a calare).
Lo Stato può acquistare i titoli tossici delle banche ( porcherie accumulate con speculazioni e truffe senza confini) e depositarli in una ( o più) cosiddetta “ bad bank”: al fine di ripulire le banche speculatrici e rilanciarle sul mercato. E’ ciò che ha in progetto il decantato governo Obama, con un’operazione calcolata in oltre 1000 miliardi pubblici; è ciò che ipotizza il governo Brown con un investimento di 500 miliardi, e che non escludono i governi tedesco e italiano. E’ l’operazione che è stata fatta in Italia con il Banco di Napoli alla metà degli anni 90. Ed è l’operazione ad un tempo più costosa e più cinica: lo Stato accolla ai contribuenti il costo sociale delle speculazioni per salvare gli speculatori.
Lo Stato può infine acquisire con soldi pubblici pacchetti azionari delle banche in crisi, al fine di allargare il loro patrimonio e salvarle dal fallimento: e può farlo sia con l’acquisizione di quote di minoranza e con azioni prive di diritto di voto ,sia conseguendo in casi particolari la maggioranza azionaria e dunque il controllo pubblico ( come è avvenuto con la Northern Bank in GB). Sono anch’esse operazioni costose per le risorse pubbliche, e sono a termine: lo Stato risana la banca coi soldi pubblici per poi rivenderla agli speculatori privati, quando la bufera è passata, a vantaggio dei loro profitti.( E’ l’operazione fatta dal governo svedese nel 79). Salvo che oggi la bufera non è ordinaria, ha una dimensione mondiale, e le risorse pubbliche oltre una certa soglia scarseggiano.
Sono, come si vede, operazioni di diversa portata su un terreno spesso sperimentale e accidentato, segnato dalla recessione internazionale dell’economia reale, dal rischio default di diversi Paesi dell’Est europeo, dalle contraddizioni esplosive tra i diversi paesi capitalisti. E tuttavia qual è il tratto comune di queste diverse soluzioni? Salvare il capitalismo e i capitalisti dalla loro bancarotta, con risorse sottratte ai salari, alle protezioni sociali, ai servizi pubblici. Sottrarre ulteriori risorse a coloro che hanno sempre pagato per darle a chi non solo non ha pagato mai, ma è il responsabile, da tutti riconosciuto, del grande crak: il banchiere e il capitalista. Chiamare tutto questo “ nazionalizzazioni” è solo la misura dell’ipocrisia borghese. E’ l’eterno tentativo- come diceva Marx- di spacciare per interesse generale l’ interesse particolare della borghesia.