D- Ferrando, qual è la vostra proposta?
R- Una mobilitazione straordinaria contro il Governo reazionario. Siamo in una situazione in cui il Governo è privo di una formale maggioranza politica retto da un sultanato che domina un parlamento di nominati, a sua volta eletto con una legge elettorale truffaldina e privo di un’opposizione adeguata a fronteggiare quel carattere reazionario con la giusta determinazione.
Noi pensiamo che questa situazione di stallo si possa superare attraverso un’iniziativa di mobilitazione dal basso, di grandi masse, che facciano pesare sul piatto della bilancia il peso della propria forza e della propria determinazione.
D- Come in Tunisia e in Egitto?
R-Esatto, come sta avvenendo in questi due paesi dove le grandi mobilitazioni popolari sono riuscite a sconfiggere la violenza del potere e ad aprire dal basso una pagina nuova.
D- La violenza è solo del potere?
R- La violenza è del potere come si è visto in queste vicende, in Tunisia hanno fatto 200 morti, in Egitto 300, e ciò nonostante queste brutalità poliziesche non sono riuscite a bloccare o intimidire la volontà popolare perché quelle masse si sono scrollate di dosso la paura, grande fattore di conservazione dell’ordine sociale. Quando grandi masse perdono la paura e anche l’abitudine alla rassegnazione come destino civico, si possono anche fare 300 morti ma non si arresta una rivoluzione sociale come dimostra l’esperienza Nordafricana.
D- Questo è possibile anche in Italia?
R- Noi pensiamo di sì, che a fronte della crisi sociale che sta attraversando il Paese sia possibile fare un salto di mobilitazione popolare nella prospettiva di una rivoluzione sociale. In Italia come in tutto l’Occidente.
D- In Italia da dove può partire la rivoluzione? Dal Pd?
R- Queste sono forze che, come dichiarano loro stesse, sono legate alla conservazione di questo ordine di società, anzi intrattengono ottime relazioni con il mondo delle banche, di Confindustria, con i poteri forti, con le gerarchie ecclesiastiche. Cercano di sottrarre a Berlusconi i favori di queste classi dirigenti per tornare al Governo in nome di quelle classi dirigenti che per altro hanno sostenuto fino a ieri i Governi di centro sinistra coninvolgendoli nelle peggiori polemiche antioperaie.
Secondo noi una prospettiva anticapitalistica e rivoluzionaria può partire da una sinistra che recuperi la piena autonomia e alternatività dal centro destra berlusconiano che è il primo nemico da battere ma anche da centro sinistra.
D- I comunisti non sono morti tutti allora.
R- I comunisti, non quelli che Berlusconi vede ovunque anche nelle sedi più improprie e improbabili, ma quelli veri, che vogliono recuperare quel programma di rivoluzione sociale e anticapitalistica su cui il Comunismo nacque. Non è nato semplicemente intorno a una politica di difesa della pensione, del salario e del posto di lavoro, questa è la base di partenza e purtroppo oggi le sinistre non svolgono neanche questo mestiere perché si compromettono con le classi dominanti: i Comunisti legano queste lotte alle messa in discussione della struttura della società in cui il potere non sia nella mani di una piccola minoranza che esercita una dittatura sulla maggioranza del lavoro salariato e delle classi subalterne.
D- Al fianco dei lavoratori adesso c’è la Cgil, no?
R- La Cgil ha un merito e un demerito: il merito in questa stagione di opporsi formalmente alle politiche governative padronali, ma ha il demerito di non portare fino in fondo questa opposizione mobilitando fino in fondo la forza del movimento operaio popolare.
Lo sciopero generale del 6 maggio di quattro ore convocato due mesi prima è la dimostrazione di un dissenso timidamente impotente: noi parteciperemo e inviteremo tutti a farlo, ma è indubbio che non modificherà neanche di una virgola i rapporti di forza tra le classi.
D- Qual è l’alternativa?
R- Bisogna arrivare a superare la soglia di testimonianza delle buone ragioni, investendo le buone ragioni in un’azione di forza che miri a vincere. Il problema non è partecipare ma vincere.
D- Siete davvero convinti che sia possibile una rivoluzione in Italia?
R- Fino a pochi mesi fa tutti pensavano che fosse impossibile in Tunisia e in Egitto, persino coloro che l’hanno fatta. Se a un giovane qualunque poco tempo fa si fosse chiesto se fosse possibile una rivoluzione contro il potere centrale avrebbe sollecitato un ricovero d’urgenza per l’intervistatore.
Come sempre queste rivoluzioni sorprendono anche chi le fa.
D- Secondo voi è davvero possibile dunque.
R- Il punto è che oltre una certa soglia di sopportazione sociale arriva la classica goccia che fa traboccare il vaso sviluppando una dinamica radicale. Non solo è possibile, ma necessario perché volendo essere realisti non esiste altra possibilità concreta di modificare l’ordine delle cose. Tutti quelli che ci dicono «Voi siete irrealisti», in realtà dimostrano il più totale irrealismo perché ormai è consolidato che con metodi di carattere ordinario, tradizionali, non si fronteggia una situazione politica straordinaria.
Intervista di F.M. del "Parma Daily"
sabato 26 marzo 2011
lunedì 21 marzo 2011
LE VERE RAGIONI DELL'ITALIA IN GUERRA. IL PD SALVA BERLUSCONI NEL NOME DEL SOSTEGNO ALLA GUERRA. LE SINISTRE ROMPANO CON TUTTI I PARTITI DI GUERRA, E SI MOBILINO UNITE CONTRO DI ESSA. NON UN SOLDO PER LA GUERRA LIBICA
Il Presidente Napolitano ha fatto sfoggio della sua migliore ipocrisia presentando l'ingresso dell'Italia in guerra come sostegno al “Risorgimento arabo”.
Il risorgimento arabo in Tunisia, Egitto, Libia si è levato esattamente CONTRO i regimi dispotici che tutti i governi italiani hanno sostenuto, economicamente e politicamente, facendo con essi i migliori affari. USA e UE continuano a sostenere contro il risorgimento arabo la dittatura saudita, la monarchia del Bahrein, la brutale repressione del regime Yemenita, a esclusiva difesa delle proprie posizioni militari e strategiche nella regione. Nella stessa Libia il “democratico” occidente si è ben guardato dal rifornire di armi il “risorgimento libico”, di cui non si fida, privilegiando invece il proprio diretto ingresso in guerra coi propri bombardieri.
Il fine dell'imperialismo è molto chiaro, anche nei suoi tentennamenti e contraddizioni. Le vecchie potenze coloniali di Francia ed Inghilterra cercano di recuperare a suon di bombe un proprio spazio economico e politico nel Maghreb, in diretta competizione col capitalismo italiano ( a partire dalla Libia). L'imperialismo italiano, sino a ieri complice diretto del regime di Gheddafi e dei suoi crimini, si è prontamente allineato, dopo vari zig zag, alla missione di guerra al solo scopo di prenotarsi un posto al sole nella ripartizione delle zone di influenza nel Maghreb, e di difendere dalle insidie degli “alleati” concorrenti le sue attuali posizioni ( a partire dai pozzi petroliferi in Libia). La posta in gioco non è solamente il controllo politico sulla Libia postGheddafi ( dove vi sarà uno sgomitamento tra “alleati” nella ridefinizione delle zone petrolifere), ma la spartizione dei nuovi equilibri politici nell'intera regione araba, scossa dalle rivoluzioni popolari. Il fine comune dell'imperialismo, in ogni caso, è acquisire direttamente sul campo leve di intervento e condizionamento politico sui rivolgimenti in corso, bloccare la loro ulteriore espansione, far argine ad ogni loro possibile sviluppo in direzione antimperialista ed anticapitalista. I bombardieri sono solo i veicoli di queste operazioni imperialiste.
Parallelamente, la guerra diventa, ancora una volta, una illuminante cartina di tornasole della politica italiana. Il PD e la UDC non solo hanno rivendicato e votato in prima fila la spedizione di guerra, rimproverando a Berlusconi tentennamenti e ritardi; ma hanno salvato con questo il governo Berlusconi dalle contraddizioni della sua maggioranza, garantendo in un colpo solo la partecipazione italiana alla guerra e il governo più reazionario del dopoguerra: e dunque la continuità della sua politica bonapartista, delle sue minacce ai diritti costituzionali, della sua offensiva antioperaia e antipopolare. “E' stato un atto di responsabilità” gridano inorgogliti, con sorriso tricolore, i capi del PD. E' vero. Un atto di responsabilità verso gli interessi dell'Eni, degli industriali e banchieri italiani ( tanto esposti nel Maghreb), delle gerarchie militari, delle istituzioni dell'imperialismo internazionale ( dall'Onu alla Nato). Un atto che conferma una volta di più, se ve ne era bisogno, l'organica appartenenza del PD al campo della borghesia italiana e dei suoi interessi imperialisti.
Ora tutte le sinistre sono chiamate dai fatti a conclusioni coerenti. Non si può essere contro la guerra e al tempo stesso continuare ad allearsi coi partiti di guerra. Non si può essere contro la guerra e continuare a rivendicare l'Alleanza “democratica” con partiti di guerra (con tanto di sostegno esterno a un suo eventuale governo). Occorre scegliere. Pena la conferma di un intollerabile doppio binario tra le parole e i fatti.
Quanto a noi, continueremo con coerenza sulla nostra rotta. Assumeremo la lotta per il ritiro dell'Italia dalla guerra all'interno della nostra più vasta campagna nazionale per la cacciata del governo Berlusconi ( “Fare come in Tunisia e in Egitto”): denunciando ovunque il salvataggio del governo da parte del PD nel nome della guerra, e dunque sbugiardando la falsità della demagogia antiberlusconiana delle opposizioni parlamentari liberali. Al tempo stesso, e proprio per questo, svilupperemo con più forza la necessità di una aperta rottura col PD, ad ogni livello, da parte di tutte le sinistre politiche , sindacali, di movimento, quale condizione necessaria per liberare un'opposizione radicale e di massa a Berlusconi e al suo governo, capace di vincere. Infine combineremo tutto questo col pieno sostegno alla rivoluzione araba e alla sua propagazione, contro ogni ingerenza dell'imperialismo, a partire dall'imperialismo italiano: ad un secolo esatto dalla spedizione coloniale di Giolitti in Libia, diremo come allora “Non un soldo per la guerra libica”,”No alla guerra tricolore”.
Il risorgimento arabo in Tunisia, Egitto, Libia si è levato esattamente CONTRO i regimi dispotici che tutti i governi italiani hanno sostenuto, economicamente e politicamente, facendo con essi i migliori affari. USA e UE continuano a sostenere contro il risorgimento arabo la dittatura saudita, la monarchia del Bahrein, la brutale repressione del regime Yemenita, a esclusiva difesa delle proprie posizioni militari e strategiche nella regione. Nella stessa Libia il “democratico” occidente si è ben guardato dal rifornire di armi il “risorgimento libico”, di cui non si fida, privilegiando invece il proprio diretto ingresso in guerra coi propri bombardieri.
Il fine dell'imperialismo è molto chiaro, anche nei suoi tentennamenti e contraddizioni. Le vecchie potenze coloniali di Francia ed Inghilterra cercano di recuperare a suon di bombe un proprio spazio economico e politico nel Maghreb, in diretta competizione col capitalismo italiano ( a partire dalla Libia). L'imperialismo italiano, sino a ieri complice diretto del regime di Gheddafi e dei suoi crimini, si è prontamente allineato, dopo vari zig zag, alla missione di guerra al solo scopo di prenotarsi un posto al sole nella ripartizione delle zone di influenza nel Maghreb, e di difendere dalle insidie degli “alleati” concorrenti le sue attuali posizioni ( a partire dai pozzi petroliferi in Libia). La posta in gioco non è solamente il controllo politico sulla Libia postGheddafi ( dove vi sarà uno sgomitamento tra “alleati” nella ridefinizione delle zone petrolifere), ma la spartizione dei nuovi equilibri politici nell'intera regione araba, scossa dalle rivoluzioni popolari. Il fine comune dell'imperialismo, in ogni caso, è acquisire direttamente sul campo leve di intervento e condizionamento politico sui rivolgimenti in corso, bloccare la loro ulteriore espansione, far argine ad ogni loro possibile sviluppo in direzione antimperialista ed anticapitalista. I bombardieri sono solo i veicoli di queste operazioni imperialiste.
Parallelamente, la guerra diventa, ancora una volta, una illuminante cartina di tornasole della politica italiana. Il PD e la UDC non solo hanno rivendicato e votato in prima fila la spedizione di guerra, rimproverando a Berlusconi tentennamenti e ritardi; ma hanno salvato con questo il governo Berlusconi dalle contraddizioni della sua maggioranza, garantendo in un colpo solo la partecipazione italiana alla guerra e il governo più reazionario del dopoguerra: e dunque la continuità della sua politica bonapartista, delle sue minacce ai diritti costituzionali, della sua offensiva antioperaia e antipopolare. “E' stato un atto di responsabilità” gridano inorgogliti, con sorriso tricolore, i capi del PD. E' vero. Un atto di responsabilità verso gli interessi dell'Eni, degli industriali e banchieri italiani ( tanto esposti nel Maghreb), delle gerarchie militari, delle istituzioni dell'imperialismo internazionale ( dall'Onu alla Nato). Un atto che conferma una volta di più, se ve ne era bisogno, l'organica appartenenza del PD al campo della borghesia italiana e dei suoi interessi imperialisti.
Ora tutte le sinistre sono chiamate dai fatti a conclusioni coerenti. Non si può essere contro la guerra e al tempo stesso continuare ad allearsi coi partiti di guerra. Non si può essere contro la guerra e continuare a rivendicare l'Alleanza “democratica” con partiti di guerra (con tanto di sostegno esterno a un suo eventuale governo). Occorre scegliere. Pena la conferma di un intollerabile doppio binario tra le parole e i fatti.
Quanto a noi, continueremo con coerenza sulla nostra rotta. Assumeremo la lotta per il ritiro dell'Italia dalla guerra all'interno della nostra più vasta campagna nazionale per la cacciata del governo Berlusconi ( “Fare come in Tunisia e in Egitto”): denunciando ovunque il salvataggio del governo da parte del PD nel nome della guerra, e dunque sbugiardando la falsità della demagogia antiberlusconiana delle opposizioni parlamentari liberali. Al tempo stesso, e proprio per questo, svilupperemo con più forza la necessità di una aperta rottura col PD, ad ogni livello, da parte di tutte le sinistre politiche , sindacali, di movimento, quale condizione necessaria per liberare un'opposizione radicale e di massa a Berlusconi e al suo governo, capace di vincere. Infine combineremo tutto questo col pieno sostegno alla rivoluzione araba e alla sua propagazione, contro ogni ingerenza dell'imperialismo, a partire dall'imperialismo italiano: ad un secolo esatto dalla spedizione coloniale di Giolitti in Libia, diremo come allora “Non un soldo per la guerra libica”,”No alla guerra tricolore”.
Marco Ferrando
Presidio di protesta contro il presidente della Provincia Cirielli
La manifestazione di dissenso si è svolta in maniera pacifica, raccogliendo il consenso di alcuni cittadini scesi in strada per assistere alla cerimonia di inaugurazione, anch’essi critici nei confronti di Cirielli.
Segue il testo del volantino distribuito durante il presidio.
Il presidente della provincia Edmondo Cirielli ignora la storia, dimentica velocemente le valutazioni espresse sul Sindaco di Baronissi attraverso atti parlamentari e non mantiene le promesse.
Cirielli ha affisso, in tutta la Provincia, dei manifesti per celebrare il 25 APRILE. Nei quali dimostrava tutto il suo pregiudizio ideologico e la sua profonda ignoranza sulle vicende della RESISTENZA ITALIANA, esaltando, di contro, l'apporto dell'esercito americano che a suo dire avrebbe evitato che il paese fosse preda di pericolosi comunisti.
Cirielli ha presentato DE INTERROGAZIONI PARLAMENTARI al Ministro degli Interni nelle quali si legge:
... "se il rinvio a giudizio del sindaco protempore Giovanni Moscatiello, per una serie di reati tra i quali concorso esterno al reato previsto dall'articolo 416-bis del codice penale, non integrasse la possibilità dello scioglimento del consiglio comunale per condizionamenti camorristici" ...
Salvo poi nominare Moscatiello, passato nel frattempo dal PD al PDL e sostenuto al Comune dal centro-destra, Segretario generale della provincia, nomina di esclusiva competenza del presidente.
Cirielli ha promesso di impegnare i fondi necessari per costruire DUE ISTITUTI SUPERIORI nella Valle dell'Irno, uno a Mercato S. Severino e l'altro a Baronissi.
Sia nel primo che nel secondo caso le promesse non sono state mantenute. Mentre per Mercato S. Severino non si hanno notizie della gara d'appalto esperita diversi mesi fa, a Baronissi, si è pensato bene di trasformare, affittandole, delle residenze per anziani in aule scolastiche, con l'abbandono del polo scolastico che sarebbe dovuto nascere a Cariti.
Cirielli dovrebbe spiegare ai cittadini della Valle dell'Irno, invece di presenziare ad inaugurazioni di presunti "poli creativi":
- Per quale motivo continua a mantenere ai vertici dell'ente che presiede Giovanni Moscatiello;
- Perché non vuole più investire per favorire la cultura nella Valle dell'Irno;
- Se ha intenzione di riparare, il prossimo 25 Aprile, alle gravi offese ai resistenti italiani che si sono sacrificati per la nostra libertà.
domenica 20 marzo 2011
NO ALL'ATTACCO MILITARE IMPERIALISTA GIU' LE MANI DALLA RIVOLUZIONE ARABA SIA IL POPOLO LIBICO A REGOLARE I CONTI CON GHEDDAFI, NON I BOMBARDIERI OCCIDENTALI
L'aggressione imperialista alla Libia non ha alcuno scopo “umanitario”. E' difficile immaginare scopi “umanitari” in chi ha armato per decenni regimi arabi torturatori, ed oggi appoggia la criminale dittatura saudita e la sanguinosa repressione in Bahrein. La verità è che dietro il velo ipocrita della propaganda, USA e UE cercano di riprendere il controllo politico del Maghreb e di bloccare l'espansione della rivoluzione araba in funzione dei propri interessi economici e strategici nella regione. Non a caso le potenze occidentali hanno rifiutato ogni rifornimento di armi agli insorti libici, che non controllano e di cui non si fidano . L'imperialismo interviene in proprio solo per affermare il proprio comando sulla situazione libica e nordafricana. I limiti delle rivoluzioni arabe del Maghreb, espressisi anche nel mancato sostegno militare alla rivoluzione libica, hanno di fatto favorito l'inserimento imperialista e la sua ipocrisia “umanitaria” a danno della rivoluzione libica e della sua autonomia.
Da comunisti siamo stati e siamo incondizionatamente dalla parte della rivoluzione libica contro il regime sanguinario di Gheddafi, così come siamo stati al fianco della rivoluzione tunisina ed egiziana contro i regimi filo occidentali di Ben Alì e Mubarak. Proprio per questo non possiamo che avversare un intervento imperialista mirato contro la rivoluzione araba. Sia il popolo libico a regolare i conti con Gheddafi, non i bombardieri occidentali.
Il rifiuto dell'aggressione imperialista non ci porta ad alcun appoggio politico ad un regime odioso, per anni garante degli interessi occidentali contro il proprio popolo. E' necessario sostenere la continuità e l'estensione della rivoluzione libica, sviluppando la sua piena autonomia politica dall'imperialismo e dai suoi scopi. E' necessario che tutti i popoli arabi in rivolta, a partire dalla Tunisia e dall'Egitto, combinino il proprio sostegno agli insorti libici con la mobilitazione più ampia contro l'intervento imperialista: giù le mani dalla rivoluzione araba! E' necessario che il movimento operaio internazionale si mobiliti a difesa della rivoluziona araba contro le mire imperialiste delle proprie borghesie: favorendo nella rivoluzione araba l'emergere delle tendenze più coerentemente antimperialiste e anticapitaliste.
In questo quadro il PCL si appella a tutte le sinistre italiane per un'immediata mobilitazione contro ogni coinvolgimento italiano nell'intervento militare in Libia, e contro l'intossicante propaganda tricolore bipartisan che l'accompagna.
Non un soldo per la guerra libica! Al fianco della rivoluzione araba, della sua propagazione, della sua autonomia da ogni ingerenza imperialista! Per la federazione socialista araba!
Da comunisti siamo stati e siamo incondizionatamente dalla parte della rivoluzione libica contro il regime sanguinario di Gheddafi, così come siamo stati al fianco della rivoluzione tunisina ed egiziana contro i regimi filo occidentali di Ben Alì e Mubarak. Proprio per questo non possiamo che avversare un intervento imperialista mirato contro la rivoluzione araba. Sia il popolo libico a regolare i conti con Gheddafi, non i bombardieri occidentali.
Il rifiuto dell'aggressione imperialista non ci porta ad alcun appoggio politico ad un regime odioso, per anni garante degli interessi occidentali contro il proprio popolo. E' necessario sostenere la continuità e l'estensione della rivoluzione libica, sviluppando la sua piena autonomia politica dall'imperialismo e dai suoi scopi. E' necessario che tutti i popoli arabi in rivolta, a partire dalla Tunisia e dall'Egitto, combinino il proprio sostegno agli insorti libici con la mobilitazione più ampia contro l'intervento imperialista: giù le mani dalla rivoluzione araba! E' necessario che il movimento operaio internazionale si mobiliti a difesa della rivoluziona araba contro le mire imperialiste delle proprie borghesie: favorendo nella rivoluzione araba l'emergere delle tendenze più coerentemente antimperialiste e anticapitaliste.
In questo quadro il PCL si appella a tutte le sinistre italiane per un'immediata mobilitazione contro ogni coinvolgimento italiano nell'intervento militare in Libia, e contro l'intossicante propaganda tricolore bipartisan che l'accompagna.
Non un soldo per la guerra libica! Al fianco della rivoluzione araba, della sua propagazione, della sua autonomia da ogni ingerenza imperialista! Per la federazione socialista araba!
giovedì 17 marzo 2011
IL NOSTRO RISORGIMENTO
L'unità d'Italia del 1861 fu la subordinazione del Risorgimento italiano agli interessi di Casa Savoia e del blocco industriale ed agrario: in funzione dello sviluppo del capitalismo nazionale entro un mercato unificato, e della sua colonizzazione manu militari del mezzogiorno. E' dunque naturale che le stesse classi dominanti che oggi accentuano il proprio sfruttamento sulla classe operaia e le masse del Sud, celebrino la propria vittoria di 150 anni fa, avvolgendola nel tricolore e negli inni patrii. Come è naturale da parte loro il coinvolgimento solenne nell'evento della Chiesa papalina: che prima sparò per trentanni sui patrioti del Risorgimento, poi scomunico' il Regno d'Italia, ma infine si riconciliò con le sue classi dirigenti nel nome dei comuni interessi finanziari, agrari, immobiliari.
Per la stessa ragione i comunisti, e persino i coerenti democratici, non hanno nulla da celebrare il 17 Marzo. Il Risorgimento che noi rivendichiamo è quello che perse: quello dell'insurrezione popolare delle 5 giornate di Milano del 1848 poi disarmata dall'esercito sabaudo; quello della Rivoluzione repubblicana a Roma del 1849, poi affogata nel sangue dalle truppe francesi chiamate da Papa Pio IX ; ma soprattutto quello che cercò, di connettere la battaglia risorgimentale ad una prospettiva di liberazione sociale degli sfruttati e degli oppressi, contro la borghesia liberale e lo stesso campo democratico mazziniano.
Due nomi risaltano tra i tanti militanti e dirigenti del risorgimento popolare che volevano quello sbocco alla liberazione d’ Italia: Filippo Buonarroti e Carlo Pisacane.
Il primo, compagno in Francia di Gracco Babeuf nell’organizzare il primo tentativo di rivoluzione comunista della storia (“La congiura degli Uguali” del 1796),fu il principale organizzatore ed dirigente fino alla sua morte nel 1837 delle società segrete “giacobine rivoluzionarie” in tutta Europa. In Italia ciò si espresse in quella che fu, fino allo sviluppo della democratico piccolo borghese Giovane Italia Di Mazzini, la più importante società segreta “carbonara”: i “Sublimi Maestri Perfetti”, il cui terzo e massimo grado implicava il giuramento dell’impegno alla realizzazione dell’uguaglianza sociale con l’abolizione della proprietà privata.
Il secondo, Carlo Pisacane, l’eroe dello sfortunato tentativo di Sapri del 1857, che lottò per la costruzione di un partito “socialista rivoluzionario” in Italia, dichiarando di non preferire i Savoia agli Asburgo e polemizzando contro il repubblicanesimo democratico di Mazzini e la sua parola d’ordine “Dio e popolo”, in nome della lotta tra le classi e della rivoluzione sociale.
I tempi storici erano allora immaturi per la vittoria di quei generosi tentativi. Ma essi prefigurarono nelle pieghe del Risorgimento il futuro del movimento operaio rivoluzionario italiano: quello di Antonio Gramsci e del Partito Comunista D'Italia del 1921.
Per questo, solo un governo dei lavoratori che liberi l'Italia dalle attuali classi dominanti potrà recuperare il filo storico del comunismo risorgimentale e dei suoi eroici pionieri. Portando al potere il risorgimento sconfitto. Realizzando sino in fondo le sue migliori aspirazioni sociali , democratiche, anticlericali. Riscattando nel concreto la memoria di chi già allora diede la propria vita non per una dittatura degli industriali e degli agrari, ma per una rivoluzione sociale, per una “Dittatura rivoluzionaria per instaurare la perfetta Uguaglianza” (Buonarroti); per una “terribile rivoluzione, la quale cambiando l’ordine sociale metterà a profitto di tutti ciò che ora riesce a profitto di alcuni” (Pisacane) .
Per la stessa ragione i comunisti, e persino i coerenti democratici, non hanno nulla da celebrare il 17 Marzo. Il Risorgimento che noi rivendichiamo è quello che perse: quello dell'insurrezione popolare delle 5 giornate di Milano del 1848 poi disarmata dall'esercito sabaudo; quello della Rivoluzione repubblicana a Roma del 1849, poi affogata nel sangue dalle truppe francesi chiamate da Papa Pio IX ; ma soprattutto quello che cercò, di connettere la battaglia risorgimentale ad una prospettiva di liberazione sociale degli sfruttati e degli oppressi, contro la borghesia liberale e lo stesso campo democratico mazziniano.
Due nomi risaltano tra i tanti militanti e dirigenti del risorgimento popolare che volevano quello sbocco alla liberazione d’ Italia: Filippo Buonarroti e Carlo Pisacane.
Il primo, compagno in Francia di Gracco Babeuf nell’organizzare il primo tentativo di rivoluzione comunista della storia (“La congiura degli Uguali” del 1796),fu il principale organizzatore ed dirigente fino alla sua morte nel 1837 delle società segrete “giacobine rivoluzionarie” in tutta Europa. In Italia ciò si espresse in quella che fu, fino allo sviluppo della democratico piccolo borghese Giovane Italia Di Mazzini, la più importante società segreta “carbonara”: i “Sublimi Maestri Perfetti”, il cui terzo e massimo grado implicava il giuramento dell’impegno alla realizzazione dell’uguaglianza sociale con l’abolizione della proprietà privata.
Il secondo, Carlo Pisacane, l’eroe dello sfortunato tentativo di Sapri del 1857, che lottò per la costruzione di un partito “socialista rivoluzionario” in Italia, dichiarando di non preferire i Savoia agli Asburgo e polemizzando contro il repubblicanesimo democratico di Mazzini e la sua parola d’ordine “Dio e popolo”, in nome della lotta tra le classi e della rivoluzione sociale.
I tempi storici erano allora immaturi per la vittoria di quei generosi tentativi. Ma essi prefigurarono nelle pieghe del Risorgimento il futuro del movimento operaio rivoluzionario italiano: quello di Antonio Gramsci e del Partito Comunista D'Italia del 1921.
Per questo, solo un governo dei lavoratori che liberi l'Italia dalle attuali classi dominanti potrà recuperare il filo storico del comunismo risorgimentale e dei suoi eroici pionieri. Portando al potere il risorgimento sconfitto. Realizzando sino in fondo le sue migliori aspirazioni sociali , democratiche, anticlericali. Riscattando nel concreto la memoria di chi già allora diede la propria vita non per una dittatura degli industriali e degli agrari, ma per una rivoluzione sociale, per una “Dittatura rivoluzionaria per instaurare la perfetta Uguaglianza” (Buonarroti); per una “terribile rivoluzione, la quale cambiando l’ordine sociale metterà a profitto di tutti ciò che ora riesce a profitto di alcuni” (Pisacane) .
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
Comitato Esecutivo
giovedì 10 marzo 2011
NON CI FAREMO INTIMIDIRE DALL'ESPOSTO DEL PDL
Comunicato stampa nazionale
L'annuncio di “esposto” alla magistratura da parte dei massimi dirigenti del PDL piemontese contro la mia persona e il PCL per la campagna “Fare in Italia come in Tunisia e in Egitto”, non ci farà arretrare di un solo millimetro. L'accusa di “istigazione “ alla rivolta contro Berlusconi- che i signori Ghigo e Ghiglia mi rivolgono – è mal posta. Il primo “istigatore” alla sollevazione popolare è infatti Berlusconi e il suo governo. Un Sultanato che domina un Parlamento di nominati, che si regge sulla corruzione e la menzogna, che attacca gli stessi equilibri costituzionali, che vanta un Ministro come Bossi che addirittura evoca “ le armi lombarde”, è il vero seminatore di rivolta. Il governo Tambroni nel 1960 fu rovesciato per molto meno. Lo scandalo vero non sta nel nostro appello a rovesciare il governo, ma nella paralisi impotente delle “opposizioni” parlamentari. In ogni caso il PCL andrà avanti nella sua campagna di massa per “una grande marcia nazionale su Palazzo Chigi che imponga a Berlusconi le dimissioni”. Tutti i nostri candidati sindaci, a partire da Torino, Milano, Bologna, Napoli, Cagliari, saranno megafono pubblico di questa campagna. Se questo è “reato”, ne rivendico la responsabilità. E mi auguro che tutte le sinistre facciano altrettanto.
L'annuncio di “esposto” alla magistratura da parte dei massimi dirigenti del PDL piemontese contro la mia persona e il PCL per la campagna “Fare in Italia come in Tunisia e in Egitto”, non ci farà arretrare di un solo millimetro. L'accusa di “istigazione “ alla rivolta contro Berlusconi- che i signori Ghigo e Ghiglia mi rivolgono – è mal posta. Il primo “istigatore” alla sollevazione popolare è infatti Berlusconi e il suo governo. Un Sultanato che domina un Parlamento di nominati, che si regge sulla corruzione e la menzogna, che attacca gli stessi equilibri costituzionali, che vanta un Ministro come Bossi che addirittura evoca “ le armi lombarde”, è il vero seminatore di rivolta. Il governo Tambroni nel 1960 fu rovesciato per molto meno. Lo scandalo vero non sta nel nostro appello a rovesciare il governo, ma nella paralisi impotente delle “opposizioni” parlamentari. In ogni caso il PCL andrà avanti nella sua campagna di massa per “una grande marcia nazionale su Palazzo Chigi che imponga a Berlusconi le dimissioni”. Tutti i nostri candidati sindaci, a partire da Torino, Milano, Bologna, Napoli, Cagliari, saranno megafono pubblico di questa campagna. Se questo è “reato”, ne rivendico la responsabilità. E mi auguro che tutte le sinistre facciano altrettanto.
Marco Ferrando
domenica 6 marzo 2011
giovedì 3 marzo 2011
SIA IL POPOLO LIBICO A ROVESCIARE GHEDDAFI, NON LE VECCHIE POTENZE COLONIALI
Le premure militari occidentali “a difesa del popolo libico” sono pura ipocrisia. Tanto più provenendo da vecchie potenze coloniali che hanno sostenuto sino a ieri i regimi oppressori dei popoli arabi (Ben Alì, Mubarak, Gheddafi) e che continuano a sostenere, coi metodi più criminali, il regime corrotto di Karzai in Afghanistan. La verità è ben altra. Dietro il velo tradizionale delle “preoccupazioni umanitarie”, le vecchie potenze vogliono intervenire contro la rivoluzione araba. Vogliono difendere o recuperare posizioni chiave che la caduta dei dittatori amici oggi minaccia. Vogliono difendere il controllo dei pozzi petroliferi, condizionare i processi politici delle rivoluzioni in corso, ostacolare l'allargamento della rivoluzione in altri paesi arabi (in particolare in Arabia Saudita), difendere la sacralità dello Stato sionista di Israele. Per questo, da pieni sostenitori della rivoluzione araba , della sua estensione, della sua radicalizzazione, diciamo: sia il popolo libico a rovesciare Gheddafi- col sostegno di tutti i popoli arabi- non le vecchie potenze coloniali contro i popoli arabi e la loro rivoluzione.
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