giovedì 12 febbraio 2009

Prima che sia troppo tardi

di Sandro Mezzadra*

Giovedì 12 febbraio 2009

Sulle misure discriminatorie (razziste) nei confronti dei migranti contenute nel “pacchetto sicurezza” hanno scritto l’essenziale, su queste colonne, Alessandro Dal Lago (venerdì) e Annamaria Rivera (sabato). Altri elementi li ha aggiunti Gad Lerner, su “Repubblica” di domenica. Non ripeto le cose già dette egregiamente da loro e da quanti (tanti, troppo pochi), animati dall’indignazione hanno cominciato a mobilitarsi in questi giorni. Sottolineo solo la drammaticità, il carattere spaventoso, di queste misure nel contesto di crisi generale che stiamo vivendo (e che continueremo a vivere a lungo). Si pensi alla decretazione d’urgenza invocata da Berlusconi come una delle poste in gioco fondamentali nella partita che, con rivoltante cinismo, ha aperto sul corpo di Eluana Englaro e sulle vite straziate dal dolore dei suoi genitori. Scrive Annamaria Rivera, con la poca ironia residua in questi giorni cupi, che vi è “qualche vaga analogia” con gli anni ’30. Aggiungiamoci Tremonti, che con il suo sorriso rassicurante e con linguaggio chiaro a massaie e “gente semplice” ci spiega la crisi: il lavoro, la produzione, quelli sì sono buoni; “cattiva” è la finanza. Dicevano qualcosa di diverso i nazisti? No, specificavano solo che lavoro e produzione erano buoni in quanto tedeschi, la finanza cattiva in quanto ebraica. Intendiamoci. Non credo che di fronte a noi ci sia il “fascismo”. Ma può esserci perfino qualcosa di peggio, di radicalmente nuovo e al tempo stesso terribilmente antico. Vecchio come il razzismo, nuovo come è il tempo che viviamo, un tempo in cui pericoli immani convivono accanto alla possibilità di reinventare l’uguaglianza e la libertà. Razzismo: una cosa diversa dalla “xenofobia”. Xenofoba è la signora che dichiara al TG1 che “non ne può più”, che bisogna cacciare a calci in culo questi “zozzi”, i rumeni e gli albanesi. Razzista è quello che Alessandro Dal Lago chiama lo “stigma ufficiale”, impresso sui corpi dei migranti dalla legge, dallo Stato. Voglefrei, “liberi come uccelli”, venivano chiamati nel basso medioevo germanico i soggetti, poveri e malati, mendicanti e vagabondi, che erano talmente liberi (privi di protezione) da poter essere trattati come uccellagione nella stagione della caccia. Quando oggi incontrerete un migrante, nelle vostre città e nei vostri paesi, davanti a voi ci sarà un uomo o una donna “libera come un uccello”. Non sono bastati i pogrom di Napoli, la scorsa primavera, a scuotere le nostre coscienze? Perfetto, oggi ci sono i linciaggi, i corpi cosparsi di benzina e incendiati, le fucilate. E tutto questo, per tacere delle italiche peculiarità, dentro una crisi devastante del capitalismo globale. Che ricorda il ’29. Non basta ancora? Una grande mobilitazione generale, una rivolta dei giovani dell’onda e dei pensionati, delle associazioni cattoliche e dei “democratici”, dei centri sociali e dei boy scout, del giornalismo indipendente e pure di quello dipendente, se ha una coscienza: di questo c’è bisogno, a partire da ieri. O è più importante la soglia del 4% alle europee o l’accordo con la Lega sul federalismo e sulla giustizia? Il 7 ottobre del 1989, dopo l’assassinio a Villa Literno di un ragazzo sudafricano, Jerry Essan Masslo, vi fu a Roma una grande manifestazione. Quella manifestazione ha aperto una straordinaria stagione di mobilitazioni anti-razziste e di lotte dei migranti. La paura e il delirio sicuritario sono cresciuti negli anni successivi, oculatamente incoraggiati in un vero spirito bipartisan, fino a condurci dove siamo oggi. Ma li abbiamo contrastati, tenacemente, duramente, conquistando anche vittorie grandi e piccole. Possiamo tornare allo spirito del 7 ottobre del 1989, ben sapendo che tutto è cambiato da allora?  Possiamo costruire una grande manifestazione di popolo contro il razzismo, magari in una delle cittadelle della Lega, a Treviso o a Verona, a Milano o a Bergamo? Costruiamola insieme. Subito, prima appunto che sia troppo tardi. Ne va delle vite di centinaia di migliaia di donne e uomini in questo Paese, ed è questo l’essenziale. Ma ne va anche della possibilità di costruire un’uscita in avanti dalla crisi che stiamo vivendo.

* Docente presso la facoltà di Scienze Politiche all’Università di Bologna, autore di "Diritto di fuga" e promotore della rete Uninomade

                                                   fonte: www.globalproject.info