giovedì 9 ottobre 2014

Oltre il mito, un'autentico rivoluzionario marxista: "Hasta siempre comandante!"


Sintetizzare il contributo di E. Guevara sulla questione della forma - partito non è facile. La personalità eclettica del Che unita, alla sua prematura scomparsa, ha lasciato ai posteri una ricca eredità, il cui fascino è accresciuto dal richiamo del sacrificio eroico, sicché focalizzare il tema “partito” all’interna dell’esperienza rivoluzionaria guevariana comporta il superamento della dimensione simbolica che questa ha assunto. Tale compito ci costringe ad affrontare la realtà storica abbandonando il terreno del leggendario, si tratta di riordinare le tracce di una preziosa esperienza rivoluzionaria scendendo dall’olimpo in cui si è soliti trovarla. Un compito impegnativo eppure necessario se vogliamo oltrepassare la superficialità dell’elogio celebrativo. L’unica occasione in cui Guevara esprime in modo sistematico ed esauriente il proprio ideale di partito è“L’uomo e il socialismo a Cuba”, un articolo in forma di lettera apparso sul settimanale uruguayano “Marcha” a Montevideo il 12 marzo 1965, e in “Verde Olivo” a Cuba, nell’aprile dello stesso anno. Si snocciolano qui gli elementi comuni al modello leninista:partito d’avanguardia, ammissione selettiva, minoranza di quadri formati, impegno ad elevare il livello di coscienza delle masse, programma comunista, carattere esemplare e pedagogico della militanza, spirito di abnegazione e sacrificio. Ne risulta la piena conformità alla tradizione bolscevica. Un esame profondo del contenuto ideologico dell’attività rivoluzionaria di Ernesto Guevara De La Serna, detto il “Che”, ci restituisce un comunista, marxista e leninista. Approfondendo la storia del Che possiamo scoprire un rivoluzionario “diverso” da quello comunemente conosciuto, che non rientra completamente nella figura dell’eroe romantico donchisciottesco, molto “rivoluzionario” in senso lato, ma poco ”comunista”, nel senso più politico.Questo approfondimento è utile se legato alla storia della rivoluzione cubana e alla costruzione del socialismo a Cuba, perché quella storia è stata determinante nel percorso politico di Guevara. Capita allora di scoprire una storia del socialismo cubano poco noto, spesso affidato a pochi aneddoti miscelati al folklore tropicale..


Ricordiamoci che la rivoluzione cubana è relativamente giovane, e che negli anni 60’ l’inviato dell’Unità all’Avana, Saverio Tutino, non ebbe mai l’onore di intervistare il Che, il che la dice lunga sui limiti della sintonia politico-ideologica del PCI d’allora con il governo rivoluzionario cubano prima e con il Partito Comunista Cubano (PCC) poi.La deriva revisionista dominante ha impedito un autentico apprendimento di quella lezione rivoluzionaria, e su Cuba è finito col gravare una visione benevola ma con riserva, solidale purché distaccata sul piano ideologico, fino ad arrivare oggi ad una sottile ma sostanziale “condanna” d’autoritarismo e di ortodossia vetero-marxista.
Questo lavoro di ricerca non deve spaventare, perché non ci porta alla demolizione del mito, piuttosto ci avvicina alla dimensione più autenticamente umana del Che, quella del suo agire frutto di idee precise, idee che appartengono alla storia del più glorioso movimento per l’emancipazione dell’umanità, quello comunista.Scopriamo allora che il Che non è di tutti, nonostante sia diventato il più grosso simbolo della rivoluzione nella storia moderna. Nonostante sia diventato icona e chiunque può indossare una maglietta con il suo viso facendone etichetta per qualsivoglia manifestazione ribelle, il Che è stato ed è ancora anzitutto un esempio di comunista, un compagno eroico che si identificava nel socialismo novecentesco.

La questione dell’organizzazione politica e il “Che”

“ .. Il partito è un’organizzazione d’avanguardia. I lavoratori migliori vengono proposti dai loro compagni per farne parte. E’ minoritario, ma dotato di grande prestigio per la qualità dei suoi quadri. La nostra aspirazione è che il partito sia di massa, quando però le masse avranno raggiunto il livello di sviluppo dell’avanguardia, vale a dire quando saranno state educate per il comunismo. E verso questa formazione va indirizzato il lavoro. Il partito è l’esempio vivente; i suoi quadri devono essere modelli di laboriosità e sacrificio; con la loro azione devono portare le masse al compimento degli obiettivi rivoluzionari e ciò implica anni di dura lotta contro le difficoltà della costruzione, i nemici di classe, le piaghe del passato, l’imperialismo…
Vorrei spiegare ora il ruolo che svolge la personalità umana, l’uomo come individuo dirigente delle masse che fanno la storia. E’ la nostra esperienza diretta, non una ricetta. Fidel ha dato alla rivoluzione l’impulso nei primi anni e il tono sempre; ma oggi esiste un buon gruppo di rivoluzionari che si sviluppa all’unisono con il nostro massimo dirigente una gran massa che segue i suoi capi perché ha fiducia in loro; e ha fiducia perché questi dirigenti hanno saputo interpretare le loro aspirazioni.
Non si tratta di sapere quanti chili di carne si mangino o quante volte l’anno ognuno possa andarsene a passeggiare sulla spiaggia, e neppure quante belle cose provenienti dall’estero si possano acquistare con gli attuali salari. Si tratta, piuttosto, di far sì che l’individuo si senta più completo, con molta maggiore ricchezza interiore e senso di responsabilità. Il cittadino nel nostro paese sa bene che l’epoca gloriosa che si sta vivendo è fatta di sacrifici; e sa bene che cosa sia il sacrificio. I primi impararono a conoscerlo sulla Sierra Maestra e ovunque si è combattuto; e poi lo abbiamo conosciuto in tutto il paese. Cuba è l’avanguardia dell’America e deve fare i sacrifici perché sta in prima linea, perché indica alle masse latinoamericane il cammino verso la completa libertà. All’interno del paese, i dirigenti hanno il dovere di assolvere il proprio ruolo di avanguardia; ed è bene dirlo in tutta sincerità, in una vera rivoluzione alla quale si consacra tutto, dalla quale non ci si attende alcuna ricompensa materiale, il compito del rivoluzionario di avanguardia è a un tempo magnifico e angoscioso.
I nostri rivoluzionari d’avanguardia devono idealizzare questo amore per i popoli, per le cause più sacre e renderlo unico, indivisibile. Non possono scendere con la loro piccola dose di affetto quotidiano nei luoghi in cui lo esercita l’uomo comune.
I dirigenti della rivoluzione hanno figli che nei loro primi balbettii non imparano a nominare il padre; mogli che devono partecipare al sacrificio della loro vita, al fine di condurre la rivoluzione verso il suo destino; la cerchia dei loro amici coincide con quella dei compagni della rivoluzione. Non c’è vita al di fuori di questa.
In tali condizioni, bisogna avere una grande dose di umanità, un gran senso di giustizia e di verità per non cadere in eccessi di dogmatismo, in freddo scolasticismo, nell’isolamento dalle masse. Bisogna lottare ogni giorno perché questo amore per l’umanità vivente si trasformi in fatti concreti, in atti che servano di esempio, di mobilitazione.
Il rivoluzionario, motore ideologico della rivoluzione in seno al partito, si consuma in quest’attività ininterrotta, che finisce solo con la morte, a meno che il processo non si estenda su scala mondiale. Se il suo impegno rivoluzionario si affievolisce quando i compiti più urgenti vengono realizzati su scala locale e l’internazionalismo proletario viene dimenticato, la rivoluzione che egli stesso dirige cessa di essere una forza propulsiva e affonda in un tranquillo letargo, di cui approfitta il nostro inconciliabile nemico, l’imperialismo, per riguadagnare terreno. L’internazionalismo proletario è un dovere, ma anche una necessità rivoluzionaria. Così educhiamo il nostro popolo.E’ chiaro che nella situazione attuale vi sono pericoli.Non solo quello di dogmatismo, e non solo quello di congelare i rapporti con le masse proprio a metà della grande impresa. C’è anche il pericolo delle debolezze in cui si può cadere. Se un uomo pensa che per dedicare tutta la propria vita alla rivoluzione non può permettere che la propria mente sia distratta preoccupazione che a un figlio manchi un determinato prodotto, che le scarpe dei bambini siano rotte, che la sua famiglia sia priva di certi beni indispensabili, allora egli con questo ragionamento lascia infiltrare i germi della futura corruzione.
Per quanto ci riguarda abbiamo stabilito che i nostri figli debbano avere o essere privi di ciò che hanno o di cui mancano i figli dell’uomo comune; e la nostra famiglia deve comprenderlo e lottare per questo. La rivoluzione si fa attraverso l’uomo, però l’uomo deve forgiare giorno dopo giorno il proprio spirito rivoluzionario.
Così marciamo. Alla testa dell’immensa colonna non ci vergognamo e non esitiamo a dirlo c’è Fidel; poi i migliori quadri del partito e subito dopo così vicino che si avverte la sua forza enorme viene il popolo nel suo insieme: una solida struttura di personalità che avanzano verso un fine comune; individui che hanno preso coscienza di ciò che è necessario fare; uomini che lottano per uscire dal regno della necessità ed entrare in quello della libertà.
Questa immensa moltitudine si dispone in un certo ordine che corrisponde alla consapevolezza della sua necessità; non è una forza dispersa in migliaia di frazioni disseminate nello spazio come frammenti di una granata, che cercano di raggiungere con qualsiasi mezzo, in una lotta accanita contro i propri simili, una posizione, qualcosa che sia di sostegno per l’incerto futuro.
Mi sia consentito trarre qualche conclusione. Noi socialisti siamo più liberi perché siamo più completi, siamo più completi perché siamo più liberi.
Lo scheletro della nostra libertà è ormai formato, mancano la sostanza proteica e il rivestimento: li creeremo. La nostra libertà e il suo supporto quotidiano hanno il colore del sangue e sono gonfi di sacrificio. Il nostro sacrificio è cosciente; è un tributo da pagare per la libertà che stiamo costruendo. La strada è lunga e in parte ignota; conosciamo bene i nostri limiti. Ma faremo l’uomo del XXI secolo: noi stessi.
Ci forgeremo con l’azione quotidiana, creando un uomo nuovo con una nuova tecnica.
La personalità svolge un ruolo di mobilitazione e direzione e per il fatto che di incarnare le più alte virtù e aspirazioni del popolo e non si allontana dal cammino.
Chi apre la strada è il gruppo d’avanguardia, scelto tra i migliori, il partito.
L’argilla fondamentale del nostro lavoro è la gioventù: in essa riponiamo le nostre speranze e la prepariamo perché un giorno prenda la bandiera dalle nostre mani.
Se questa lettera balbettante chiarisce qualcosa, ho raggiunto l’obiettivo per il quale la invio.
Riceva il nostro saluto di rito, come una stretta di mano o un’“Ave Maria Purissima”.
Patria o morte!
(Che Guevara “Scritti Scelti” R. Massari - Ed. Erre Emme Vol. II pagg. 710/711)

Sebbene in forma di propaganda più esplicita, il Che aveva già assunto tale posizione nel 1963“Il partito marxista-leninista” edito dal Pursc (Partito di Unità Socialista Cubano), contenente un capitolo del manuale del marxismo-leninismo di Otto Wilhelm Kuusinen, leader del comunismo finlandese e noto filosovietico., quando scrisse la prefazione al libro:
“I marxisti (i quadri di partito, n.d.a.) devono essere i migliori, i più capaci, i più completi degli esseri umani … militanti di partito che vivono e vibrano con le masse; orientatori che plasmano in direttive concrete i desideri qualche volta oscuri delle masse; lavoratori infaticabili che danno tutto di se stessi al loro popolo, che sacrificano alla Rivoluzione le loro ore di riposo, la loro tranquillità personale, la loro famiglia e perfino la loro vita, ma che non sono mai indifferenti al calore del contatto umano.”
(“Che Guevara - Pensiero e politica dell’utopia” R. Massari - Ed. Erre Emme pagg. 136 - 137)

L’approvazione del modello di partito conforme alla tradizione bolscevica è documentabile anche a proposito del principio del partito unico. In una nota intervista concessa al giornalista nordamericano Maurice Zetlin nel 1961, Guevara si pronuncia decisamente contro la formazione di correnti in seno al partito definendole focolai di frazionismo.
(Si veda R. Scheer-M. Zetlin “Cuba an american tragedy” Ed. Penguin 1964 o R. Massari “Pensiero e politica dell’utopia” Ed. erre emme pag. 135)
Egli prese posizione contro ogni forma di dissidenza foriera di indebolimenti della linea rivoluzionaria già nella polemica scoppiata in piena rivoluzione fra “Sierra” e Llano”, vale a dire fra montagna e pianura, cioè i due tronconi politici del “Movimento 26 di Luglio”, dove la pianura rappresentava l’ala moderata e movimentista. La polemica si concluse con lo scioglimento della direzione del “llano” il 3 giugno 1958 in seguito alla ricerca dell’unificazione ideologica e al fallimento dello sciopero generale del 9 aprile organizzato dal “llano”.
“.. Si sarebbe seguita la “linea della Sierra”, ossia della lotta armata diretta, estendendola ad altre regioni e dominando in questo modo il paese, per questa via si metteva fine a certe ingenue illusioni di pretesi scioperi generali insurrezionali, mentre la situazione non era maturata abbastanza perché si potesse verificare un’esplosione di questo tipo, e senza che il lavoro precedente avesse assunto le caratteristiche di una preparazione conveniente a un’impresa di tale entità.”
La pianura assumeva una posizione apparentemente più rivoluzionaria, cioè quella della lotta armata in tutte le città, che sarebbe sboccata in uno sciopero generale che avrebbe rovesciato Batista e permesso la presa del potere in poco tempo.Ma questa posizione era più rivoluzionaria soltanto in apparenza, perché ancora in quell’epoca non si era completato lo sviluppo politico dei compagni del llano e i loro concetti di sciopero generale erano troppo angusti”
(“Ricordi della guerra rivoluzionaria” 1963 in “Che Guevara - Pensiero e politica dell’Utopia” R. Massari Ed Erre Emme pagg. 309 – 310)
Ancora sull’argomento, nella già citata prefazione de “Il partito marxista-leninista” Guevara arriva a scrivere
:
“.. l’Esercito ribelle era ormai ideologicamente proletario e pensava in funzione della classe operaia. Il llano era ancora piccolo - borghese, tra i suoi dirigenti c’erano alcuni che più tardi tradirono, ed era molto condizionato dall’ambiente in cui operava.”
(“Che Guevara - Pensiero e politica dell’utopia” R. Massari - Ed. Erre Emme pag. 313)
Crediamo che non si debba nutrire un eccessivo stupore di fronte a questo Che Guevara così insolitamente bolscevico, vale la pena di ricordare quanto scrisse nel fuoco della polemica in una nota lettera indirizzata a Renè Ramos Latour, dirigente del “Llano”:
“.. Appartengo, per la mia preparazione ideologica, al gruppo di coloro che credono che la soluzione dei problemi del mondo si trovi dietro la cosiddetta cortina di ferro e considero questo movimento come uno dei tanti provocati dall’affanno della borghesia di liberarsi dalle catene economiche dell’imperialismo. Ho sempre considerato Fidel come un autentico leader della borghesia di sinistra, anche se la sua personalità è caratterizzata da qualità personali di straordinario valore che lo pongono molto al di sopra della sua classe. Con quello spirito ho iniziato la lotta: onestamente senza la speranza di andare al di là della liberazione del paese, disposto ad andarmene quando le condizioni della lotta successiva facessero girare a destra (verso quello che voi rappresentate) tutta l‘azione del movimento.”
(“Scritti Scelti” R. Massari - Ed. Erre Emme Vol. I pag. 372)
Eppure molto è stato scritto circa il superamento della forma partito operata da Guevara nei suoi ultimi quattro, cinque anni di vita, moltissimo è stato scritto, tant’è vero che domina incontrastata l’immagine del profeta di una sorta d’umanesimo rivoluzionario che poco avrebbe da spartire con il comunismo novecentesco. Questa tesi è impossibile ignorarla, doveroso verificarla.
Come ci informa lo stesso R. Massari, autore di un imponente lavoro di ricerca storica e convinto assertore del “superamento”, si tratta di una tesi che non può essere confermata da alcun documento, semmai dedotta dagli atti politici dell’ultimo Guevara.
“ ..il Che si lascia assorbire interamente dalle questioni dell’economia ancora per tutto il 1964, prima di riprendere le proprie peregrinazioni “diplomatiche”, all’estero, alla ricerca di una nuova dimensione internazionale della rivoluzione. Nei viaggi e nei soggiorni a Cuba, lavora indefessamente alla costruzione di nuovi organismi politici sovranazionali, come la futura Olas (Organisacion latinoamericana de solidaridad) – originariamente una sua diretta creatura – e la Tricontinentale. Al di là delle parole, egli dimostra con questi fatti di considerare superata la vecchia “forma partito”, morta e sepolta l’esperienza dell’organizzazione politica “marxista-leninista”, soprattutto nella versione nazionale. Un tale strumento, impegnato nella gestione quotidiana dell’esistente – vale a dire nella traduzione pratica di direttive centrali, sulle quali pure egli avrebbe molto da ridire – privo di un’effettiva capacità di proposizione autonoma, appare a Guevara ormai come un organismo senza vita, senza dinamica e senza potenzialità rivoluzionarie.”
(“Che Guevara - Pensiero e politica dell’utopia” R. Massari Ed. Erre Emme pag. 138)
Gli organismi “diplomatici” sopra indicati puntavano alla creazione di strutture marxiste-leniniste svincolate dai partiti comunisti revisionisti imbrigliati nella logica democratico - parlamentare, favorendo così la lotta armata secondo la strategia nata dall’esperienza vincente cubana.
La direzione sarebbe stata continentale, cioè in grado di superare le opportunistiche delle prospettive nazionali. La proposta di dare spazio a nuove organizzazioni marxiste-leniniste in concorrenza aperta con i partiti che non accettavano la lotta armata, avrebbe dovuto far scartare la lotta politica convenzionale a favore della guerra rivoluzionaria.
Nella tragica impresa boliviana Guevara stringe rapporti a 360°; con il partito comunista “tradizionale”, con i trotzkisti, con i radicali democratici di Juan Lechìn, accoglie nel nucleo guerrigliero alcuni militanti del PCB dissidenti filocinesi di Moisés Guevara.
Ci troviamo di fronte ad una tattica spregiudicata, adeguata al progetto di guerriglia intercontinentale descritta in “Due, tre … molti Vietnam.”
“Nell’America latina si lotta con le armi alla mano in Guatemala, Venezuela, Bolivia e già spuntano i primi segnali in Brasile. Ci sono altri focolai di resistenza che appaiono e poi si estinguono. Ma quasi tutti i paesi di questo continente sono ormai maturi per una lotta che, per risultare vittoriosa, non può fare a meno di instaurare un governo di tipo socialista… Oggi ci sono consiglieri americani in tutti i paesi in cui vi è una lotta armata e l’esercito peruviano ha organizzato – sembra con successo – una battuta contro i rivoluzionari di questo paese, anch’esso consigliato e addestrato dagli yankees. Ma se i focolai di guerra saranno organizzati con sufficiente abilità politica e militare, diverranno praticamente imbattibili e richiederanno di nuovi contingenti nordamericani. Nello stesso Perù con tenacia e fermezza, nuove figure ancora poco note stanno riorganizzando la lotta guerrigliera. Poco a poco, le armi obsolete che bastano per la repressione delle piccole bande armate, saranno sostituite da armi moderne, e i gruppi di consiglieri da soldati americani; a un certo punto l'imperialismo si vedrà costretto a inviare contingenti sempre maggiori di truppe regolari, per assicurare la relativa stabilità di un potere il cui esercito nazionale fantoccio si disintegra sotto i colpi della guerriglia. E’ la strada del Vietnam, il cammino che devono seguire i popoli e che seguirà l’America… Che si sviluppi un vero internazionalismo proletario, con eserciti proletari internazionali, dove la bandiera sotto cui si lotta sia la causa sacra della redenzione dell’umanità, in modo che morire sotto le insegne del Vietnam, Venezuela, Guatemala, Laos, Guinea, Colombia, Bolivia, Brasile – per citare solo i teatri attuali della lotta armata – sia altrettanto glorioso e desiderabile per un americano, un asiatico, un africano e persino per un europeo. Ogni goccia di sangue versato in territorio sotto la cui bandiera non si è nati è un’esperienza che raccolgono coloro che sopravvivono, per applicarla poi nella lotta di liberazione del proprio luogo d’origine. E per ogni popolo che si libera, è una fase della battaglia per la liberazione del proprio popolo che si è vinta. E’ il momento di mitigare le nostre divergenze e porre tutto al servizio della lotta. Che grandi controversie agitino il mondo di chi lotta per la libertà, lo sappiamo tutti e non possiamo certo nasconderlo. Sappiamo anche che esse hanno acquistato un carattere e un’asprezza tali da rendere estremamente difficile, se non impossibile, il dialogo e la conciliazione. Cercare i modi per iniziare un dialogo che i contendenti rifiutano è un’impresa inutile. Ma il nemico è lì, do fronte a noi, colpisce tutti i giorni e minaccia con nuovi colpi: ma questi ci uniranno oggi, domani o dopodomani. Coloro che lo capiranno per primi e si prepareranno a questa unità necessaria, si guadagneranno la riconoscenza dei popoli.”
(“Scritti Scelti” R. Massari - Ed. Erre Emme Vol. II pag. 670/675)
In ciò che a noi sembra essere stata una soluzione tattica, è stato riconosciuto il cuore del cosiddetto “superamento”. Ma che il “foco” guerrigliero non abbia, di fatto, costituito un concreto superamento della forma - partito è chiaro anche a chi sostiene questa tesi.
Lo afferma anche lo stesso Massari:
“Il superamento della forma - partito acquista negli ultimi anni di vita del Che dei connotati chiaramente militaristici, con la teoria del “foco” guerrigliero: in questo senso, non sarebbe nemmeno corretto parlare di “superamento”, trattandosi di due funzioni tra loro insostituibili – politica e militare. Ma su questo torneremo. Si può intanto osservare, tuttavia, che il modo in cui Guevara concepisce la vita interna del gruppo si avvicina per molti versi a quella di un organismo politico: molto dinamico sul piano organizzativo (senza rigide gerarchie militari), democratico al proprio interno, dotato di strumenti di formazione (le “scuole quadri” di cui parla Inti Peredo) e proiettato all’esterno verso l’assolvimento di funzioni sociali e di propaganda politica, strettamente legate, però alle esigenze militari del gruppo. Il suo rifiuto della forma partito, anche se visto sotto questa luce particolare, appare più come un esorcismo, che non un’autentica politico-politica Dal “Diario boliviano” sappiamo delle discussioni interne o, per lo meno, dei tentativi compiuti per alimentare disciplinare tali discussioni, ad opera di un “comandante” Guevara profondamente amareggiato e deluso. Egli avverte le debolezze “umane” dei suoi “quadri” e tenta l’impossibile per creare un’atmosfera di franca collaborazione, di fraterna solidarietà, quindi di crescita collettiva, umana e politica E’ un tentativo empirico di concretizzare per la prima volta i principi del suo “umanismo etico - rivoluzionario” di cui abbiamo già parlato. La cornice politico - organizzativa, tuttavia, si rivela ben presto inadeguata. (..) Il Che verifica ciononostante, che all’interno del piccolo “esercito” si riproducono quei comportamenti di incomprensione, ostilità e competizione, che egli credeva di aver eliminato col passaggio dalla vita “alienata” in una società borghese - dipendente, all’azione pratica, alla lotta armata. Il suo rifiuto della “forma - partito”, anche se visto sotto quella luce particolare, appare più come un esorcismo, che non un’autentica soluzione pratico – politica. Un problema, quindi, che rimane “aperto” e irrisolto e per il quale le suggestioni semplificatrici e tendenzialmente militaristiche dell’ultimo periodo non hanno rappresentato alcun passo avanti, alcun arricchimento teorico.”
(“Che Guevara - Pensiero e politica dell’utopia” R. Massari - Ed. Erre Emme pagg. 140 – 141)

Riteniamo, pertanto, lecito affermare che il contributo del “Che” sulla questione del partito consiste sostanzialmente nel propugnare la validità dei principi marxisti - leninisti, nonché la necessità di produrre soluzioni adeguate alle circostanze, cioè tattiche prive di riverenze dogmatiche nei confronti della tradizione ortodossa.
“A causa della violenza e dell’intransigenza con cui viene difeso ciascun punto di vista, noialtri
- i diseredati - non possiamo schierarci per l’uno o per l’altro modo in cui si manifestano le divergenze, neppure quando, a volte, ci troviamo d’accordo con alcune posizioni di una o altra parte, o in misura maggiore con una delle due. Nel momento della lotta, il modo in cui si manifestano le attuali divergenze, rappresenta un fattore di debolezza, ma allo stadio in cui esse sono arrivate, cercare di risolverle a parole è un’illusione. La storia via via le cancellerà o ne fornirà l’esatta soluzione.”
(“Scritti Scelti” Vol. II pag. 675)






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